Resilienza informatica, come resistere ai cyber attacchi

Gli attacchi informatici sono non solo in costante aumento, ma sono anche sempre più sofisticati. E a farne le spese sono soprattutto le aziende, dalle grandi realtà alle piccole imprese. In questi mesi, tuttavia, qualcosa si sta muovendo: ad esempio, abbiamo assistito a un consolidamento delle alleanze tra governi e grandi aziende con condivisione di informazioni e risorse utili a contrastare la criminalità informatica.

I trend da tenere sotto controllo

In questo scenario, Acronis ha individuato alcune tendenze da tenere sotto controllo nel 2022. Il ransomware è sempre in cima all’elenco delle minacce, mentre il furto dei dati e le perdite economiche rappresentano solo una parte del quadro complessivo, di cui fanno parte anche l’esposizione dei dati sensibili e le minacce ransomware perpetrate da parte di gruppi politici e di attivisti.
I contrasti interni che emergono nei gruppi di ransomware possono portare alla diffusione dei dati privati di un’organizzazione, anche se la vittima ha pagato il riscatto, il che rende tali minacce ancora più serie. Le e-mail potenzialmente dannose e quelle di phishing sono ancora il principale vettore di infezione da cui originano gli attacchi. Gli attacchi alle supply chain software, come Log4j e SolarWinds, colpiscono migliaia di organizzazioni in tutto il mondo, minacciando infrastrutture critiche e aziende. Gli attacchi silenti, in particolare quelli perpetrati tramite i collaboratori da remoto che spesso lavorano sui propri dispositivi, sono un altro potenziale problema di sicurezza, che i cybercriminali sfruttano per accedere ai sistemi e rubare le informazioni senza che la vittima ne sia consapevole. Spesso si tratta di spionaggio industriale. Aumenta la frequenza degli attacchi ai sistemi Linux e macOS. In un contesto così in evoluzione, le organizzazioni puntano a creare piani di resilienza coesi che consentano di proteggere la proprietà intellettuale, i clienti e le supply chain. Per districarsi tra le potenziali minacce, molte aziende si affidano ai Managed Service Provider (MSP) e a professionisti dell’IT esterni.

Resilienza informatica, come fare

Oltre alla Cyber Security, un aspetto strategico da affrontare è quello della resilienza informatica. “Per ottenere la resilienza informatica è necessario adottare un approccio alla gestione delle minacce che abbracci sicurezza delle informazioni, continuità operativa e disaster recovery. Alcune istituzioni governative, come il Dipartimento statunitense per la Sicurezza Interna, l’associazione internazionale per la normazione ISO e alcune associazioni bancarie internazionali, hanno elaborato materiali per aiutare le organizzazioni ad autovalutarsi o a pianificare sessioni facilitate per le aziende. Responsabili IT, Service Provider e MSP possono avvalersi di questi servizi per il proprio aggiornamento continuo e per accertarsi di usare i parametri più recenti per i propri clienti” spiega Denis Cassinerio, Regional Sales Director per l’Europa meridionale di Acronis. “Tra gli altri framework disponibili ricordiamo il Quadro di riferimento per la sicurezza informatica del NIST (National Institute of Standards and Technology) e i Controlli di sicurezza del Center for Internet Security (CIS), che costituiscono eccellenti punti di riferimento per creare un piano di resilienza”. 

Aria condizionata: il bonus 2022 fa il boom di richieste

Anche quest’anno gli italiani non rinunciano al fresco casalingo, e per l’aria condizionata è boom di richieste. Anche grazie al bonus condizionatori. Nel 2022 aumentano infatti del 34% gli italiani che hanno richiesto un servizio legato all’aria condizionata. Secondo i dati registrati sul portale ProntoPro, se il servizio Installazione Aria Condizionata nel 2021 era al primo posto tra i più richiesti, lo è anche quest’anno. Tra i fattori che hanno favorito questo trend c’è sicuramente il bonus statale. Per incoraggiare le scelte di acquisto green viene infatti confermato anche nel 2022 l’incentivo sui condizionatori, che consente di ottenere una detrazione fiscale dal 50% al 65% sull’acquisto di un climatizzatore a basso consumo o con pompa di calore, oppure di far rientrare la spesa nel Superbonus 110%.

Fare un uso virtuoso e consapevole del ‘fresco’, senza sprechi energetici

Il consiglio degli esperti è comunque quello di fare un uso virtuoso e consapevole del condizionatore, senza sprechi energetici. Come sottolinea anche Enea, a livello energetico conviene sempre sostituire un vecchio condizionatore in classe D con un modello in classe superiore alla A. In questo modo, si può risparmiare circa il 60% di energia a seconda dei modelli, proprio perché riducono il consumo di CO2 e consumano meno. Nonostante le avvisaglie a livello climatico o i rincari energetici, il 63,2% delle richieste sul portale ProntoPro sono legate all’installazione di un nuovo condizionatore, il 34,3% alla sostituzione di un vecchio modello con uno nuovo e solo il 2,5% lo spostamento del dispositivo in un altro luogo dell’abitazione.

La preferenza assoluta va ai condizionatori a muro

Sembra quindi che ormai l’aria condizionata sia diventata uno dei servizi imprescindibili in questa stagione, con preferenze assolute per i condizionatori a muro (85,5%). Il 64,9% degli italiani ha inoltre scelto climatizzatori che rifrescheranno prevalentemente appartamenti su un unico piano. Se invece si valuta la differenza a livello regionale tra le richieste di condizionatori nel 2021 e nel 2022, ad aver aumentato le percentuali sono le regioni che l’anno scorso hanno registrato le temperature più alte d’Italia.  E in testa c’è la Sicilia, con +146% di richieste rispetto allo scorso anno e il 6,70% delle richieste totali tra marzo e maggio 2022. 

Le regioni più calde d’Italia

Al secondo posto, riporta Adnkronos, c’è la Puglia (+132%, il 6,02% totale), seguita dalla Campania (+112%, il 7,11% delle richieste totali), e la Sardegna (+104%, il 5,21% del totale). Nel secondo trimestre 2022 in vetta alla classifica per la domanda c’è però la Lombardia, con il 21,56% delle richieste sul totale e un incremento rispetto all’anno precedente del +6%. Seconda in classifica il Lazio (11,33% e +9% dal 2021), e terza l’Emilia-Romagna, che rappresenta il 10,33% di domanda, ma segna +18% rispetto all’anno scorso. In Veneto, nonostante il dato sia pari all’8,46%, in realtà rappresenta un +61% rispetto al 2021.

Gli italiani, la bici e la mobilità sostenibile

In occasione della Giornata Mondiale della Bicicletta 2022, Ipsos ha condotto un sondaggio in 28 Paesi, tra cui l’Italia, per analizzare la frequenza di utilizzo della bici. L’indagine rileva un consenso internazionale sul ruolo chiave che le bici svolgono per ridurre le emissioni di carbonio e il traffico, e in tutti i Paesi la bicicletta riscuote consensi da parte della cittadinanza. In Italia, il 57% degli intervistati afferma di saper andare in bicicletta e il 49% di possederne una da utilizzare per i propri spostamenti. Il 26% afferma di utilizzare la bicicletta per fare attività fisica e soltanto il 10% per raggiungere il proprio posto di lavoro o studio. L’8% afferma poi di utilizzare i sistemi pubblici di condivisione delle biciclette.

Riduce traffico ed emissioni

Il 37% degli italiani va in bicicletta almeno una volta alla settimana, quota che si riduce al 13% tra quanti dichiarano di utilizzare la bici come mezzo di trasporto principale per un tragitto di 2 chilometri. La bici è preceduta dalla camminata a piedi (42%) e dall’utilizzo della propria automobile (29%).
La prevalenza dell’uso della bicicletta per fare commissioni o spostarsi è maggiore nei Paesi in cui è maggiormente percepita come un mezzo di trasporto sicuro, ad esempio in Cina, Giappone e Paesi Bassi. La maggioranza degli italiani (88%) ritiene che l’uso della bicicletta svolga un ruolo importante nella riduzione delle emissioni di anidride carbonica e del traffico (85%). Tuttavia, oltre la metà (62%) ritiene che andare in bicicletta nella propria zona sia troppo pericoloso.

I ciclisti spesso non rispettano le regole stradali e sono pericolosi

Il 57% degli italiani considera la bicicletta una tendenza urbana, nonostante l’alta percentuale di accordo rimane tra le più basse dei 28 Paesi, occupando la venticinquesima posizione, dopo Corea del Sud (56%), Giappone (47%) e Ungheria (41%). Gli italiani poi sono tra i cittadini maggiormente d’accordo con il fatto che i ciclisti spesso non rispettano le regole del Codice della strada e possono rappresentare un pericolo per pedoni e automobilisti. In particolare, il 76% ritiene che i ciclisti della propria zona spesso non rispettino le regole del traffico, il 70% sostiene che i ciclisti rappresentino un pericolo per pedoni e automobili o moto/motorini, e il 68% ritiene che i ciclisti rappresentino un pericolo per gli automobilisti.

Le infrastrutture ciclistiche sono carenti

Se nella maggior parte dei mercati esaminai la bici gode di un livello di favore più elevato rispetto a tutte le altre forme di trasporto, e in Italia, la bicicletta riscuote l’81% dei consensi e la bici elettrica il 77%. Poco meno della metà degli italiani (43%) considera però l’infrastruttura ciclistica (ad esempio, piste ciclabili dedicate) della propria zona eccellente. Una solida maggioranza di cittadini (71%) è d’accordo sul fatto che i nuovi progetti di infrastrutture stradali nella propria area dovrebbero dare priorità alle biciclette rispetto alle automobili.

PNNR e altre novità: come cambia l’agricoltura italiana

Questi anni sono cruciali per la definizione e attuazione delle politiche a favore del sistema agroalimentare, come la nuova Politica agricola comunitaria 2023-2027 e gli interventi dedicati del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Gli orientamenti che hanno ispirato queste politiche sono stati definiti dal Green Deal, il “patto verde europeo” proposto dalla Commissione Europea per raggiungere la neutralità climatica entro 2050 attraverso politiche in materia di clima, biodiversità, innovazione, sostenibilità ed economia circolare. In particolare discendono dalle strategie Farm to Fork e Biodiversity varate nella primavera del 2020. Nel PNRR, approvato nel 2021 una gran parte degli investimenti è dedicata alla energie rinnovabili (agrisolare, biogas), all’innovazione e meccanizzazione ed ai contratti di filiera in chiave di sostenibilità ambientale. La stessa nuova PAC 2023-2027 si articola su 9 obiettivi, dei quali tre di impronta economica (garantire un reddito equo agli agricoltori; aumentare la competitività; migliorare la posizione degli agricoltori nella filiera alimentare) ma gli incentrati su aspetti ambientali e sociali (agire per contrastare i cambiamenti climatici, tutelare l’ambiente, salvaguardare il paesaggio e la biodiversità, sostenere il ricambio generazionale, sviluppare aree rurali dinamiche, proteggere la qualità dell’alimentazione e della salute) oltre alla promozione della conoscenza e dell’innovazione.

La PAC 2023-2027 darà quindi ampio spazio, anche finanziario, alla cosiddetta “architettura verde”, che accanto alla condizionalità rafforzata, si declina nel Piano strategico nazionale presentato nel dicembre 2021 nei 5 eco-schemi del I pilastro e nelle misure agro-climatico-ambientali del II pilastro. Sono alcune delle evidenze illustrate nel report “Una nuova prospettiva per l’agroalimentare dell’Emilia-Romagna”, analisi che ha approfondito gli scenari futuri del settore anche alla luce del recente conflitto ucraino, presentato da Nomisma a Bologna con la partecipazione di primari partner.

Gli aspetti che ostacolano la ripresa

“Questo articolato impianto normativo e di intervento deve misurarsi con i mutevoli scenari internazionali e due fattori in particolare che vanificano la ripresa: il post pandemia e il conflitto russo-ucraino” ha commentato Ersilia Di Tullio, senior project manager di Nomisma. La ripresa del PIL, che nel 2021 aveva registrato in Italia un incoraggiante +6,6% rispetto al 2020 (annus horribilis, segnato da un drammatico -8,9%), sconta l’impatto della guerra e si ridimensiona rispetto alle iniziali previsioni del Fondo Monetario internazionale, scendendo a + 2,3% nel 2022 (e a +1,9% secondo Confindustria).  Un destino comune a tutti gli altri Paesi presi in esame (Francia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti e Cina), a cui si affianca un medesimo destino anche per il trend del commercio mondiale che rallenta dal +9,8% del 2021 al +3% del 2022.

L’aumento dei prezzi e la scarsità delle materie prime

L’emergenza pandemica e la guerra in Ucraina esasperano inoltre il trend rialzista dei prezzi di input energetici, produttivi e dei trasporti. A fronte di una crescita a doppia e tripla cifra da dicembre 2019 allo stesso mese del 2021, nei primi 4 mesi del 2022 le quotazioni continuano a salire. Emerge, inoltre, con forza la dipendenza per gli approvvigionamenti (soprattutto energetici) dai paesi coinvolti nel conflitto e “le imprese risentono sensibilmente della crescita dei costi e delle difficoltà di approvvigionamento” ha sottolineato Ersilia Di Tullio. Anche i prezzi delle materie prime agricole, già in rapida ascesa nel 2020 e 2021, segnano ulteriori rilevanti incrementi da dicembre 2021 ad aprile 2022.

Le abitudini digitali dei consumatori dettano nuove regole alle Pmi

Le Pmi italiane devono affrontare la sfida della trasformazione digitale, ma secondo i dati Istat l’80% di loro si colloca ancora a un livello ‘basso’ o ‘molto basso’ di digitalizzazione. E solo un numero ridotto di Pmi ha avviato vendite online. Questo, nonostante i risultati del sondaggio condotto da Vista sulle abitudini dei consumatori mostrino come quasi il 90% degli italiani, a causa della pandemia, abbia acquistato online molto più rispetto al periodo pre-Covid. Tanto che sebbene fare acquisti nei piccoli negozi di quartiere sia un’esperienza gradevole per molti (85%), il 35% riconosce che doversi recare nei negozi fisici rappresenta spesso un inconveniente. Soprattutto per la mancanza di disponibilità degli articoli cercati (27,5%), la preoccupazione di ritrovarsi vicino a persone affette da Covid-19 (23,5%), le code per pagare (23%), o gli orari di attività, non sempre adeguati alle esigenze dei consumatori (16,5%).

Si afferma lo shopping online

Quanto invece alle principali cause di frustrazione riscontrate durante lo shopping online, i consumatori evidenziano l’impossibilità di toccare i prodotti prima di acquistarli (50%), parlare con qualcuno che possa fornire consigli (21%), e acquistare i prodotti delle piccole imprese rive di una presenza online. Per quanto riguarda i vantaggi, gli italiani danno maggiore importanza ai fattori quali la possibilità di fare acquisti comodamente da casa (34%), procurarsi prodotti di diverso tipo senza recarsi in più luoghi (22%), confrontare i prezzi e scegliere ciò che si adatta meglio alle proprie tasche e necessità (18,5%), gestire una lista dei desideri o un carrello della spesa virtuale per un lungo periodo fino a quando non si è pronti ad acquistare (5,5%).

Diventa quasi indispensabile trovare piccole imprese su Internet

Per questo motivo, per il 93% degli intervistati è diventato quasi indispensabile poter trovare le piccole imprese su Internet. Tuttavia, essere presenti sul web non basta. “L’alfabetizzazione digitale è necessaria, certo, ma richiede tempo e impegno di cui molti proprietari di piccole imprese non dispongono – dichiara Richard Moody, direttore generale di Vista per l’Europa centrale, settentrionale e meridionale -. Per fortuna le Pmi non sono sole, Vista si propone come partner strategico per gli imprenditori e le piccole imprese che hanno bisogno di assistenza con la realizzazione dei prodotti per il marketing, sia fisici sia digitali”.

Piccole imprese sul web: vince il settore legato a salute fisica e mentale

Vista ha elaborato una classifica dei primi 5 settori in cui le piccole imprese e gli imprenditori hanno ordinato con più frequenza prodotti per il marketing, o hanno contrattato servizi web o consulenze digitali: servizi sanitari e sociali (17%), sport e fitness (11,9%), edilizia e ristrutturazioni (11%), arte e intrattenimento (7,3%), agricoltura e allevamento (7%).
“Prendersi cura di sé, in tutte le forme, è stata una priorità per molti consumatori durante e dopo la pandemia – aggiunge Moody -. Non stupisce, quindi, osservare la presenza in cima alla classifica di imprese legate alla salute fisica e mentale, alla cura del corpo, della casa e degli spazi in cui viviamo, o al cibo che consumiamo”.

Tutti pazzi per la second hand: scelta da 23 milioni di italiani

Altro che cose di nessun valore: la second hand in Italia nel 2021 ha generato un valore economico di 24 miliardi di euro, pari all’1,4% del Pil nazionale. La spinta più significativa deriva dal volume degli affari online che costituisce quasi il 50% del totale (49%) ed è passato da 5,4 miliardi di euro nel 2014 a 11,8 nel 2021, con una crescita netta di 1 miliardo di euro anno su anno. È quindi proprio grazie all’online che il valore totale della second hand nel 2021 è tornato a livelli pre-pandemia (24 miliardi nel 2019, 23 nel 2020). Lo afferma l’ottava edizione dell’Osservatorio Second Hand Economy condotto da Bva Doxa per Subito, piattaforma per vendere e comprare in modo sostenibile, che ha analizzato comportamenti e motivazioni degli italiani rispetto alla compravendita dell’usato.

Un’abitudine di consumo

Con questi numeri, non sorprende trovare conferma del fatto che la second hand, nel 2021, sia entrata a tutti gli effetti tra i comportamenti di consumo abituali degli Italiani, grazie al boost del digitale che contribuisce a rendere questa forma di compravendita più assimilabile all’esperienza del percorso d’acquisto dell’e-commerce. Sono infatti quasi 23 milioni gli italiani, riferisce Adnkronos, che hanno scelto questa forma di economia circolare e il 66% di chi ha comprato ha guardato alla second hand come primo canale di riferimento, dimostrando, specialmente per le vendite, in crescita rispetto all’anno precedente, di considerare questa modalità come un modo smart di fare spazio, dare valore agli oggetti e guadagnare. Il tutto all’insegna della sostenibilità, che rimane il primo valore di riferimento dell’economia dell’usato (54%).  

Il business è online

Sono soprattutto gli scambi online a generare quasi la metà del fatturato (49%); questa modalità  è passata dal valore di 5,4 miliardi di euro nel 2014 a 11,8 nel 2021, con una crescita netta di 1 miliardo di euro anno su anno. È quindi proprio grazie all’online che il valore totale della second hand nel 2021 è tornato a livelli pre-pandemia (24 miliardi nel 2019, 23 nel 2020). Ben il 69% di chi ha comprato e venduto oggetti usati, infatti, lo ha fatto attraverso questo canale perché più veloce (49%), offre una scelta più ampia (43%) e consente di fare tutto comodamente da casa (41%). Dal 2014 al 2021, cresce dal 30% al 70% il numero di chi si rivolge all’online per acquistare mentre chi vende passa dal 45% al 72% attestando una crescita sia in termini assoluti sia di frequenza. In particolare, nel 2021 l’online supera l’offline anche come canale più utilizzato per l’acquisto, mentre per la vendita era già assestato e in maniera cross target.  La second hand mantiene il terzo posto tra i comportamenti sostenibili più messi in atto dagli italiani (52%), con picchi ancora più alti di adozione nel 2021 per Laureati (68%), Gen Z (66%), 35-44 anni (70%) e Famiglie con bambini (68%).  

Le aziende disabilitano le soluzioni di cybersecurity se influiscono coi processi produttivi

Il 40% delle organizzazioni industriali europee tende a disabilitare le soluzioni di cybersecurity se influiscono sui processi produttivi o sui sistemi di automazione. Complessivamente, il 39% incontra occasionalmente questi problemi, mentre il 42% dichiara di averli affrontati almeno una volta. La motivazione può essere ricercata nei conflitti di compatibilità.  L’implementazione di soluzioni di sicurezza in un ambiente tecnologico operativo impone infatti alle organizzazioni di trovare un equilibrio tra sicurezza e continuità della produzione. Diversamente, i tempi di inattività non pianificati causati da interruzioni della produzione possono costare alle aziende fino a 260.000 dollari all’ora. È quanto emerge dal nuovo report Kaspersky ICS Security Survey 2022: The seven keys to improving OT security outcomes. 

Trovare un equilibrio tra sicurezza e continuità della produzione

Trovare un equilibrio tra sicurezza e continuità della produzione può portare alcune aziende a disattivare i meccanismi di protezione. La maggior parte delle aziende europee (71%) preferisce cambiare i propri sistemi di produzione e automazione per evitare il conflitto, mentre il 60% preferirebbe intervenire sulle impostazioni di sicurezza informatica. Un altro 49% attribuisce la responsabilità al vendor o al provider di sicurezza, e preferisce cambiare fornitore per mantenere inalterati i propri processi produttivi. Una possibile spiegazione ai problemi di compatibilità delle aziende risiede nel fatto che le loro tecnologie operative (OT) o i sistemi di controllo industriale (ICS) sono obsoleti e non possono essere aggiornati.

Il problema è l’aggiornamento dei sistemi

Secondo un’azienda manifatturiera che opera nel settore high-tech in Nord America “Il problema principale che abbiamo con OT e ICS è che i nostri dispositivi non possono essere ulteriormente aggiornati. I produttori non forniscono alcun tipo di aggiornamento ai nostri sistemi attuali. Siamo vincolati a piattaforme obsolete e vulnerabili”.
Infatti, secondo gli intervistati, per un’organizzazione industriale è impossibile aggiornare in media circa un endpoint su sei (17%) nella propria rete OT.
“In passato, i proprietari degli asset ritenevano che i sistemi di protezione e automazione alla base dei processi di core business di un’organizzazione industriale sarebbero rimasti immutati per decenni, per l’intero ciclo di vita delle macchine, con la sola eccezione di occasionali modifiche alle impostazioni”, spiega Kirill Naboyshchikov, Business Development Manager di Kaspersky Industrial CyberSecurity.

Come risolvere il problema?

“La prassi comune era quella di avviare i sistemi in blocco, eseguire un retesting completo e una nuova messa in funzione nel caso di modifiche – continua Naboyshchikov -. Tuttavia, l’introduzione dei sistemi di automazione digitale di nuova generazione, ha fatto sì che in molti casi ciò non fosse più possibile. Pertanto, sia i sistemi di automazione generici sia quelli ultra-specializzati basati su computer, dovrebbero essere dotati dei seguenti sottosistemi e strumenti e processi di sicurezza: un sistema di protezione approvato dal vendor, olistico e gestito a livello centrale, monitoraggio permanente della vulnerabilità e scansione della conformità, rilevamento delle intrusioni e delle anomalie di rete, aggiornamento, gestione delle patch e controllo delle versioni”.

A marzo 2022 i prezzi dei beni al consumo crescono del +6,7%

La conferma arriva dalle stime preliminari dell’Istat: nel mese di marzo 2022 l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, registra un aumento dell’1,2% su base mensile, e del 6,7% su base annua, rispetto al +5,7% del mese di febbraio. Secondo l’Istat, l’accelerazione dell’inflazione su base tendenziale anche nel mese di marzo è dovuta prevalentemente ai prezzi dei Beni energetici, la cui crescita passa da +45,9% di febbraio a +52,9%. In particolare, quelli della componente non regolamentata, che passano dal +31,3% di febbraio al +38,7% di marzo, e in misura minore, ai prezzi dei Beni alimentari, sia lavorati (da +3,1% a +4,0%) sia non lavorati (da +6,9% a +8,0%), e a quelli dei Beni durevoli (da +1,2% a +1,9%).

Prezzi dei Beni energetici regolamentati quasi raddoppiati in un anno

Anche a marzo secondo l’Istat i prezzi dei Beni energetici regolamentati continuano a essere quasi doppi di quelli registrati nello stesso mese dello scorso anno (+94,6%, come a febbraio). I Servizi relativi ai trasporti, invece, registrano un rallentamento, passando da +1,4% a +1,0%.
L’inflazione di fondo, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, sempre a marzo accelera da +1,7% a +2,0%, e quella al netto dei soli beni energetici da +2,1% a +2,5%. Su base annua accelerano in misura ampia i prezzi dei beni (da +8,6% a +10,2%), mentre quelli dei servizi rimangono stabili (+1,8%). Si allarga quindi il differenziale inflazionistico negativo tra questi ultimi e i prezzi dei beni (da -6,8 punti percentuali di febbraio a -8,4).

Accelerano i beni alimentari e i prodotti ad alta frequenza d’acquisto

In particolare, accelerano sia i prezzi dei Beni alimentari, per la cura della casa e della persona (da +4,1% a +5,0%) sia quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto (da +5,3% a +6,9%). L’aumento congiunturale dell’indice generale è dovuto, per lo più, ai prezzi dei Beni energetici non regolamentati (+8,9%) e in misura minore dei Beni alimentari lavorati (+1,0%), dei Servizi relativi ai trasporti (+0,9%), dei Beni durevoli (+0,7%) e degli Alimentari non lavorati (+0,6%).

L’inflazione acquisita per il 2022 è pari a +5,3%

L’inflazione acquisita per il 2022 è pari a +5,3% per l’indice generale, e a +1,6% per la componente di fondo. Secondo le stime preliminari dell’Istat, l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) aumenta del 2,6% su base mensile, prevalentemente per effetto della fine dei saldi invernali, di cui il NIC non tiene conto, e del 7,0% su base annua, rispetto al +6,2% di febbraio.

Work Trend Index, da Microsoft le indicazioni del lavoro che ci verrà

“Non si può cancellare l’esperienza vissuta e l’impatto che gli ultimi due anni continueranno ad avere sul mercato del lavoro, poichè flessibilità e benessere sono diventati elementi non negoziabili per i dipendenti. Accogliendo e rispondendo in modo proattivo a queste nuove aspettative, le aziende hanno la possibilità di ripensare l’impostazione del proprio business e il ruolo dei dipendenti per raggiungere obiettivi di successo in un orizzonte di lungo termine” dichiara Jared Spataro, Corporate Vice President, Modern Work, Microsoft. Parole che accompagnano la presentazione dei dati della nuova edizione del Work Trend Index di Indeed, dati che indicano cosa vogliono oggi i dipendenti e cosa invece no.

Cosa si è disposti a sacrificare per il lavoro

I dipendenti hanno seguito negli ultimi due anni una nuova visione di ciò che vogliono dal lavoro e cosa sono disposte a sacrificare per esso. L’indagine di Microsoft sottolinea fortemente questa tendenza. Con il 54% degli italiani ora più propensi a dare priorità alla propria salute e al proprio benessere rispetto al lavoro. Questo trend trova anche riscontro nel dato sugli intervistati che l’anno scorso hanno lasciato il lavoro. Il 17% in Italia, quasi uno su cinque. Il cosiddetto “Great Reshuffle” è tutt’altro che concluso e interessa anche il Belpaese anche se in misura leggermente inferiore che a livello globale: il 37% dei lavoratori dichiara che probabilmente prenderà in considerazione un nuovo lavoro nel prossimo anno (a livello globale è il 43%).
Sarà necessario che i manager sappiano agire a protezione della produttività aziendale. Senza però trascurare i problemi e le richieste dei dipendenti. Per esempio, nonostante l’innegabile desiderio di flessibilità che traspare dalla ricerca (il 41% dei lavoratori considera di passare a modalità di lavoro remote o ibride nel prossimo anno), il 47% dei dirigenti italiani sostiene che la propria azienda prevede un rientro a tempo pieno in ufficio nel 2022.

Il lavoro cambia forma

Queste nuove norme dovranno garantire che lo spazio dell’ufficio sia arricchente per i dipendenti, aiutandoli a sentirsi parte dell’azienda. Inoltre è interessante che il 46% dei dipendenti in Italia si dichiara aperto a sfruttare anche spazi digitali immersivi nel metaverso per future riunioni.
L’analisi dei dati di produttività in Microsoft 365 dimostra che le riunioni e le chat sono in aumento. Spesso estendendosi oltre il tradizionale orario lavorativo. Infatti, la media settimanale di tempo trascorso in riunioni su Teams a livello globale è aumentata del 252% da marzo 2020, e il lavoro extra-time e nel fine settimana è cresciuto rispettivamente del 28% e del 14%.

I segreti per un salone da parrucchiere con arredamento moderno e accattivante

In primo piano

Avviare un nuovo salone da parrucchiere è certamente una sfida che riguarda diversi aspetti, pratici ed economici.

A queste si aggiungono inevitabilmente determinate esigenze dal punto di vista del design. Le sembianze di un salone da parrucchiere infatti, non rappresentano un aspetto marginale ma al contrario una componente essenziale del successo dello stesso.

L’aspetto estetico infatti contribuisce a rendere un determinato salone da preferire rispetto agli altri, dato che la percezione di raffinatezza e qualità nella mente dei clienti diventa motivo sufficiente per determinare se continuare a visitare quel determinato esercizio commerciale o meno.

Ecco dunque i motivi per i quali bisogna studiare tutte le possibili soluzioni per poter ottenere un design che sia effettivamente moderno, accattivante e che possa dunque rappresentare un valore aggiunto per una attività commerciale.

Quanto segue vale sia nel caso in cui tu stia avviando un nuovo salone da parrucchiere che abbia deciso di effettuare un restyling di quello esistente.

L’analisi degli spazi

Progettare gli arredi in funzione degli spazi a disposizione è un passo importantissimo. Scegliere degli arredi solo perché ci piacciono, senza tenere conto del modo in cui occuperanno volume all’interno dei locali, sarebbe Infatti un errore non da poco.

Consideriamo invece gli arredi prima di tutto in funzione dello spazio che occuperanno e delle persone che necessariamente si muoveranno all’interno del locale. Chiaramente, tutto deve essere funzionale e rendere più facile il lavoro.

Preferiamo dunque mobili che ci consentano di conservare tutti gli strumenti e gli accessori che adoperiamo quotidianamente per lavorare e che permettano di poterli prendere e riporre velocemente.

Per quel che riguarda le poltrone dei clienti, queste devono essere il più possibile comode e accessoriate, facendo così in modo che la sala d’aspetto risulti essere estremamente confortevole.

La zona shampoo

Quello dello shampoo è un momento di particolare benessere e relax. Qui clienti vogliono un po’ sentirsi come in una Spa. Per questo è bene mettere ogni persona a proprio agio sfruttando per questo apposite sedute ergonomiche che consentano anche di distendere le gambe.

Parliamo dunque di postazioni per lo shampoo assolutamente moderne accattivanti dal punto di vista estetico.

La zona taglio e piega

Qui è dove avviene la magia e soprattutto dove si trascorre la maggior parte del tempo all’interno del locale. È questo il momento in cui bisogna far avvertire le nostre coccole al cliente e fare in modo che decida di tornare ancora da noi.

Questo è il luogo giusto per stupire e affascinare il cliente, per cui facciamo bene a circondarlo di elementi d’arredo e forniture per parrucchieri che lasciano il segno.

Pensiamo ad esempio a delle bellissime poltrone che possano essere facilmente regolate in altezza, le cui imbottiture rendano la seduta particolarmente comoda e perché no, un contorno di luci diffuse e grandi specchi che consentano di visionare momento per momento la regolazione del taglio.

Possiamo approfittarne per inserire qui alcuni espositori con prodotti che andremo in seguito a proporre al cliente.

La zona cassa

Questa è soltanto una zona di passaggio, ma ciò non significa che non debba essere allestita adeguatamente.

Potresti posizionare la cassa su un bel bancone e riporre qui dei piccoli espositori con all’interno dei prodotti che i clienti potrebbero decidere di acquistare.

Questa è la zona adatta in cui inserire qualche piccola pianta grassa o vasi con fiori, l’ideale per una zona di passaggio.

Conclusione

Come hai visto, creare un arredamento moderno e accattivante per un salone da parrucchiere non è difficile.

Ci sono certamente alcune cose a cui prestare attenzione, ma in fin dei conti la cosa più importante di cui hai bisogno è la tua creatività ed un po’ di buon gusto.