Italia, le startup innovative impiegano 50mila giovani

Brave le startup italiane. Le società innovative danno infatti lavoro a 50mila giovani. Lo rivela la 16esima edizione del rapporto trimestrale sui trend demografici e le performance economiche delle startup innovative italiane, aggiornato al secondo trimestre 2018. Realizzato da Mise e InfoCamere, con la collaborazione di Unioncamere, il rapporto presenta approfondimenti su numerosi altri aspetti del fenomeno: dalla distribuzione geografica alle caratteristiche dei soci, dai settori di attività economica ai principali dati di bilancio.

Registro imprese, quasi 10.000 le startup iscritte

Al 4 luglio 2018, data di riferimento del report, erano 9.396 le startup iscritte nella sezione dedicata del Registro delle Imprese, riporta Askanews,  il 3% di tutte le società di capitali costituite in Italia negli ultimi 5 anni. Rispetto al report di tre mesi prima si registrano circa 500 startup innovative in più.

Migliaia di posti di lavoro

La crescita del numero delle startup si riflette anche sui valori occupazionali. Al 31 marzo 2018 le startup innovative coinvolgevano 48.965 persone tra soci e lavoratori subordinati. I dati sui dipendenti a metà 2018 non sono ancora disponibili, ma la stima parla di oltre 50mila unità impiegate presso le startup innovative.

Lombardia regione capofila

La Lombardia è di gran lunga la regione capofila per numero di startup innovative, raggiungendo a metà 2018 quota 2.286, il 24,3% del totale nazionale, scrive ancora l’agenzia. Di queste, 1.598 si trovano nell’area di Milano: in questa città quasi il 5% delle società di capitali avviate negli ultimi 5 anni è attualmente in possesso dello status speciale. La provincia con il più elevato rapporto tra startup innovative iscritte e nuove società di capitali è invece Trieste (7%), seguita a breve distanza da Trento (6,9%). Viceversa, a La Spezia e Crotone è startup solo una nuova azienda su 200. Le startup innovative sono una presenza significativa in alcuni settori economici. Ad esempio, è startup il 7,6% delle nuove imprese del comparto dei servizi. Scomponendo quest’ultimo sulla base della codificazione Ateco, l’incidenza aumenta notevolmente nei settori dello sviluppo di software (32,9%) e, soprattutto, della ricerca e sviluppo (66,1%).

Propensione all’investimento e soci giovani

Infine, un ulteriore dato particolarmente interessante: le startup innovative hanno un’elevata propensione all’investimento: il rapporto tra immobilizzazioni e attivo patrimoniale è pari al 27,86%, più di sei volte maggiore rispetto al valore registrato dalle altre società di recente costituzione (4,3%). Rispetto alle altre nuove società di capitali, le startup innovative sono tendenzialmente più giovani: gli under-35 compaiono in quasi una startup su due (44,8%), contro il 35,2% fatto registrare dalle altre neo-imprese.

La carica dei 3,3 milioni di lavoratori ‘in nero’

Campi, cantieri, capannoni e case i luoghi di lavoro di 3,3 milioni di lavoratori irregolari e definiti invisibili, che seppur sconosciuti ad Inps, all’Inail e fisco, producono danni “importanti e pesantissimi”.

Un fatturato sommerso di 77,3 miliardi di euro

L’Ufficio studi della Cgia – Confederazione Generale Italiana degli Artigiani – stima queste attività sommerse per 77,3 miliardi di fatturato in nero all’anno, sottraendo al fisco un gettito di 42,6 miliardi di euro. Un importo, valutato dai tecnici del ministero dell’Economia e delle Finanze, che corrisponderebbe a numeri giganteschi, oltre il 40% dell’evasione di imposta annua valutata e pari, secondo i conteggi del Mef,  a circa 100 miliardi di euro all’anno.

Secondo l’associazione, lo scenario  medio per questo tipo di lavoratori “Non essendo sottoposti ai contributi previdenziali, assicurativi e fiscali,  consentono alle imprese dove prestano servizio – o a loro stessi, se operano sul mercato come falsi lavoratori autonomi – di beneficiare di un costo del lavoro molto inferiore e, conseguentemente, di praticare un prezzo finale del prodotto/servizio molto contenuto (…). Prestazioni che chi rispetta le disposizioni previste dalla legge non è in grado di offrire”.

Tre milioni i lavoratori coinvolti

Ulteriori i dati forniti, come scrive AdnKronos: “Tre milioni di persone costituite da lavoratori dipendenti che fanno il secondo/terzo lavoro, da cassaintegrati o pensionati che arrotondano le magre entrate o da disoccupati che in attesa di rientrare nel mercato del lavoro sopravvivono ‘grazie’ ai proventi riconducibile a un’attività irregolare”.

A porre rimedio con una teoria strategica e contenitiva del fenomeno, gli analisti dell’associazione, con la reintroduzione dei vaucher Inps, i vecchi buoni del lavoro che consentono al datore di lavoro di pagare l’attività lavorativa saltuaria al dipendente. Questa però è solo una delle nuove proposte. Oltre a ciò, l’esigenza di Cgia di ridurre il carico amministrativo, la tassazione e i contributi previdenziali, incentivando la trasparenza e puntando ad un’attività di monitoraggio da pare organi competenti. In sintesi, una maxi operazione educativa in tutti gli ambiti sociali per promuovere la cultura della legalità.

Al netto dei conti della Confederazione

Stilata allora un classifica particolarmente cupa che riguarda l’incidenza sul Pil del il lavoro irregolare in alcune Regioni del Paese.

Fra tutte, e quasi del doppio rispetto al dato medio nazionale (5,2 per cento), ad apparire come la Regione più a ‘rischio’ per il sommerso è la Calabria, con 146mila lavoratori in nero e un’incidenza percentuale del 9,9 per cento sul valore aggiunto da lavoro irregolare sul Pil regionale. Nei fatti, mancate entrate per lo Stato, per quasi 1,6 miliardi di euro.

Medaglia d’argento, per difformità, ad una Campania con 382.900 unità di lavoro irregolari, un Pil in ombra, che grava su quello ufficiale per l’8,8 per cento, e una deficienza annua di tasse per la Regione di 4,4 miliardi.

Segue, con il bronzo da terza in graduatoria, la Sicilia: 312.600 gli irregolari, un’economia sommersa all’ 8,1 per cento, e 3,5 miliardi di euro all’anno di imposte e i contributi non versati.

Si sale al Nord, invece, per il quarto posto del Veneto,  che annovera ben 199.400 lavoratori in nero, 5,2 miliardi di euro di valore aggiunto subissato (3,8 per cento del Pil regionale) e una sottrazione fiscale di quasi 2,9 miliardi di euro.

Il Turismo in Italia vale 70,2 miliardi di euro. Ma al Sud c’è ancora molto da fare

I dati 2016 del World Travel and Tourism Council certificano il turismo in Italia vale 70,2 miliardi di euro (4,2% del Pil), che salgono a 172,8 miliardi (10,3% del Pil), se si aggiunge anche l’indotto. Ma per fare del turismo il suo principale driver economico l’Italia può fare di più. Soprattutto al Sud, dove la ricchezza portata dagli stranieri è ancora marginale rispetto a quella di singole regioni del Nord.

A segnalare i dati è il Rapporto sul Turismo 2017, realizzato da UniCredit in collaborazione con il Touring Club Italiano, che conferma la Germania come nostro primo mercato di riferimento (53,3 milioni), e il forte incremento della Cina, per la prima volta nella top 10, con 5,4 milioni di presenze.

Città d’arte, costa adriatica, veneta e romagnola i luoghi più visitati dagli stranieri

I luoghi più frequentati dagli stranieri sono le città d’arte del Centro e del Nord, con Roma ancora dominante rispetto alle altre destinazioni. Seguono Milano, la costa adriatica, veneta e romagnola. Torino entra per la prima volta nella top 10 delle città più visitate.

Un focus del Rapporto sulle regioni evidenzia la doppia velocità con cui procedono le regioni del Centro-Nord e quelle del Sud, riferisce Adnkronos. Un paradosso, visto che gli attrattori più apprezzati all’estero (aspetti climatici, paesaggio, patrimonio storico-artistico ed enogastronomico) descrivono un quadro efficace del Meridione. Ma la regione più turistica d’Italia è il Veneto, che con oltre 63 milioni di presenze vanta numeri tre volte superiori alla Campania (19 milioni), e quattro volte alla Sicilia (15).

Il Lazio al primo posto per la spesa incoming

Al primo posto per la spesa incoming si conferma il Lazio, con 6,4 miliardi di euro spesi dagli stranieri sui quasi 36 miliardi complessivi nel 2015. Seconda la Lombardia, e più distanziate, Veneto (5,2) e Toscana (4,1).

La prima regione del Sud (quinto posto) è la Campania, con 1,8 miliardi di euro.

Il Meridione complessivamente, però, attrae appena 5 miliardi, sostanzialmente quanto il solo Veneto.

Altro tema che interessa molte aree del Sud è quello della stagionalità: a livello medio italiano, la metà delle presenze totali si registra nel trimestre estivo.

Valle d’Aosta, Basilicata e Trentino-Alto Adige al top per le strutture più amate

In 14 casi la Germania è il primo mercato incoming, in altri cinque costituisce il secondo o il terzo, mentre solo nel Lazio e in Valle d’Aosta non è presente tra i primi tre.

Nella classifica per soddisfazione degli ospiti, in termini di sentiment positivo sulle strutture ricettive, le prime tre posizioni sono occupate da Valle d’Aosta (85,8%), Basilicata (85,5%) e Trentino-Alto Adige (84,4%). Tra le Regioni con l’offerta ricettiva più amata dagli stranieri, in terza posizione c’è l’Umbria, oltre a Valle d’Aosta e Basilicata, già presenti nella classifica generale, rispettivamente alla prima e alla seconda posizione.

Agroalimentare: meno aziende, ma più forti dopo la crisi

Dopo un decennio di crisi il settore agroalimentare italiano è più forte. Meno aziende, quindi, ma più solide. Almeno, questo sembra essere il risultato della recessione su un comparto colpito in maniera meno pesante rispetto ad altri settori. Di fatto il numero di aziende agricole italiane si è ridotto di circa il 20%. Nel caso dell’industria alimentare invece l’emorragia è stata del -2,5% tra il 2009 e il 2015, con riduzioni più elevate nel caso delle micro imprese. Quelle, cioè, che presentano una propensione all’export più bassa, e di conseguenza, hanno subito maggiormente il crollo dei consumi interni.

In termini di valore aggiunto il settore è cresciuto di oltre il 10%

Nonostante uno scenario di mercato complicato, l’agroalimentare italiano non ha tradito la sua vocazione anticiclica, contrastando la recessione con prodotti innovativi, e soprattutto incrementando l’export (+ 69% dal 2007 al 2017). Tanto che in termini di valore aggiunto il settore è cresciuto di oltre il 10%.

Ma l’anticiclicità si è espressa anche sul fronte della redditività. Secondo uno studio Nomisma per Agronetwork il rapporto tra Ebitda e fatturato delle aziende è passato dal 7,8% del 2011 all’8,6% del 2016, mantenendosi costantemente al di sopra sia della media del manifatturiero sia del totale delle cosiddette 4 A del Made in Italy (agroalimentare, abbigliamento-tessile, arredo-legno e automazione), riporta Askanews.

Vino e dolci, due comparti “sovraperformanti” 

L’analisi evidenzia inoltre come all’interno del settore alcuni comparti abbiano addirittura sovraperformato. In particolare il vino (Ebitda margin passato da 10% a 11,7%), e il dolciario (sempre sopra il 10% nel periodo considerato). Marginalità ancora superiori si sono registrate in alcune nicchie di mercato (quasi 20% per baby & diet food, acqua e bevande analcoliche, spirits, pasta, caffè e tè, prodotti da forno). Nei comparti tradizionali invece sono stati i segmenti ad alto valore aggiunto (salumi, gelati e cioccolato-caramelle) a restituire redditività superiori alla media.

L’impatto del rialzo dei margini sulla struttura finanziaria delle imprese

Ma quale impatto ha prodotto sulla struttura finanziaria delle imprese questo rialzo generalizzato dei margini negli anni più difficili dell’economia italiana?

“A parte le grandi imprese – dichiara Denis Pantini, Responsabile dell’Area Agroalimentare di Nomisma – che hanno utilizzato l’aumento dei flussi di cassa generato da questa redditività per fare investimenti, la gran parte delle aziende ha deciso principalmente di abbattere l’indebitamento finanziario e accrescere la propria solidità patrimoniale”.

Questo non significa che le aziende abbiano diminuito il ricorso al debito bancario. Che nel caso delle micro e piccole imprese, insieme all’autofinanziamento dei soci, resta lo strumento principale per sostenere il percorso di crescita

Abusivismo: 11,5 miliardi di danno all’Erario

Con un giro d’affari di 22 miliardi di euro oltre alle imprese che operano nella legalità l’abusivismo danneggia anche lo Stato, causando un ‘buco’ erariale di 11,5 miliardi di euro in mancato gettito fiscale e contributivo. Secondo le stime elaborate da Confesercenti sul fenomeno nel commercio e nel turismo si tratta di una cifra pari al 14% del fatturato dei due comparti. E come sottolinea la stessa Confesercenti in un comunicato, se le attività abusive fossero azzerate l’Erario recupererebbe abbastanza entrate per finanziare un cospicuo taglio dell’Irpef.

Inoltre, la regolarizzazione farebbe emergere 32mila posti di lavoro aggiuntivi, facendo guadagnare anche l’occupazione.

Commercio e turismo i più colpiti, anche online

Per alcune categorie l’impatto economico è particolarmente sentito, come il commercio su aree pubbliche, riporta Askanews, dove la percentuale di operatori abusivi è piuttosto elevata, e nell’ambito del turismo. Anche online: sui grandi portali si stimano oltre 90mila attività ricettive abusive. Rimanendo nel settore, anche le agenzie di viaggio subiscono la concorrenza derivante dai tour operator abusivi che operano su Web, causando elevati danni di immagine al settore e cospicue perdite di fatturato (più del 20% per quattro intervistati su dieci).

Elettronica, moda e farmaci i più colpiti dalla contraffazione online

Tra attività irregolari, fraudolente o del tutto sommerse, il ‘nero’ dell’online genera un fatturato di circa 700 milioni di euro l’anno. Solo nel 2016 sono state denunciate oltre 151mila frodi o truffe informatiche, e complessivamente, si stima che oltre un consumatore su quattro (25,6%) si sia trovato a comprare almeno una volta un prodotto o un servizio illegale o contraffatto sul web.

A essere colpiti da contraffazione e abusivismo online sono soprattutto elettronica, moda (in particolare capi di lusso o grandi firme), ma anche farmaci e integratori, con gravi rischi per la salute pubblica.

“Per ridurre l’illegalità sulla rete serve un intervento coraggioso”

“L’abusivismo non conosce crisi anzi, continua a espandersi per ogni canale commerciale, come dimostra il fatto che stia stendendo sempre più i suoi tentacoli anche sul web, diventata la nuova frontiera del fenomeno”, si legge nel comunicato di Confesercenti. Un problema per le imprese, quindi, che si trovano costrette a combattere contro la concorrenza sleale di un abusivismo sempre più agguerrito, e per i consumatori meno attenti, che spesso cercando il risparmio trovano la truffa.

“Per ridurre l’illegalità sulla rete – continua Confesercenti – c’è bisogno di un intervento coraggioso, che istituisca normative ad hoc e garantisca le risorse necessarie a Polizia Postale e Guardia di Finanza, le cui attività sono la principale linea di difesa contro l’illegalità”.

Famiglia, casa, lavoro: le donne italiane non hanno più tempo per sé

Sempre più impegnate a dividersi fra lavoro, casa e famiglia, le donne italiane non hanno più tempo da dedicare a se stesse: hobby, affetti e riposo si concentrano in poco più di due giorni e mezzo alla settimana. Questo è quanto risulta dalla ricerca condotta da Doxa per Special K di Kellogg. L’indagine ha coinvolto un campione di donne italiane alle quali è stato chiesto quali siano le principali sfide che devono affrontare durante la giornata, le attività che le rendono più forti, e il loro rapporto con l’alimentazione come fonte di energia.

Reggere lo stress mette alla prova il 42% delle intervistate

Dall’analisi dei dati emerge che il 54% del campione segnala difficoltà nel trovare il tempo da dedicare a se stessa, mentre reggere lo stress è una prova per il 42% delle intervistate. Per sentirsi più energiche, e affrontare con più forza le sfide quotidiane, il 63% delle donne intervistate ha bisogno di ritagliare tempo per sé, il 59% di organizzare weekend fuori porta o viaggiare, e il 50% di trascorrere più tempo con le persone che ama. Secondo quanto rilevato dalla ricerca, inoltre, per il 63% delle donne con figli la sfida giornaliera più grande è quella di conciliare famiglia e lavoro.

Aumenta la consapevolezza dei benefici di un’alimentazione corretta

Le donne, riferisce Askanews, sono più produttive e attive nelle stagioni più luminose, primavera ed estate. Proprio in questi periodi circa la metà di loro arricchisce l’alimentazione con vitamine e minerali. Le donne italiane sono poi consapevoli che la colazione è il pasto che le aiuta a ottenere il giusto sprint di cui hanno bisogno, e associano questo pasto alla parola ‘energia’. Tuttavia, solo una donna su quattro sa che la colazione dovrebbe fornire all’organismo il 20-25% dell’apporto nutrizionale energetico.

Le regole del breakfast perfetto

“Ormai è riconosciuto come la colazione sia il pasto più importante per iniziare la giornata e se fatta correttamente aiuta a riavviare l’organismo e ad affrontare con energia e slancio tutte le attività del giorno. Consumare regolarmente questo primo pasto quotidiano, come ormai è noto, si associa ad un migliore stato di benessere a tutte le età” ha dichiarato Marta Carabelli, nutrizionista. “Questo pasto dovrebbe fornire principalmente carboidrati per avere l’energia immediata dopo il digiuno notturno e proteine. La presenza di fibra, di minerali e vitamine è un ottimo modo per procurarsi nell’arco della giornata le quantità raccomandate di questi nutrienti che, con la vita moderna fatta di pasti veloci e magari fuori casa, non sono così semplici da raggiungere. Cereali integrali uniti ad una fonte proteica per esempio da latte o yogurt e della frutta di stagione costituiscono un ottimo esempio di prima colazione”.