Le aziende disabilitano le soluzioni di cybersecurity se influiscono coi processi produttivi

Il 40% delle organizzazioni industriali europee tende a disabilitare le soluzioni di cybersecurity se influiscono sui processi produttivi o sui sistemi di automazione. Complessivamente, il 39% incontra occasionalmente questi problemi, mentre il 42% dichiara di averli affrontati almeno una volta. La motivazione può essere ricercata nei conflitti di compatibilità.  L’implementazione di soluzioni di sicurezza in un ambiente tecnologico operativo impone infatti alle organizzazioni di trovare un equilibrio tra sicurezza e continuità della produzione. Diversamente, i tempi di inattività non pianificati causati da interruzioni della produzione possono costare alle aziende fino a 260.000 dollari all’ora. È quanto emerge dal nuovo report Kaspersky ICS Security Survey 2022: The seven keys to improving OT security outcomes. 

Trovare un equilibrio tra sicurezza e continuità della produzione

Trovare un equilibrio tra sicurezza e continuità della produzione può portare alcune aziende a disattivare i meccanismi di protezione. La maggior parte delle aziende europee (71%) preferisce cambiare i propri sistemi di produzione e automazione per evitare il conflitto, mentre il 60% preferirebbe intervenire sulle impostazioni di sicurezza informatica. Un altro 49% attribuisce la responsabilità al vendor o al provider di sicurezza, e preferisce cambiare fornitore per mantenere inalterati i propri processi produttivi. Una possibile spiegazione ai problemi di compatibilità delle aziende risiede nel fatto che le loro tecnologie operative (OT) o i sistemi di controllo industriale (ICS) sono obsoleti e non possono essere aggiornati.

Il problema è l’aggiornamento dei sistemi

Secondo un’azienda manifatturiera che opera nel settore high-tech in Nord America “Il problema principale che abbiamo con OT e ICS è che i nostri dispositivi non possono essere ulteriormente aggiornati. I produttori non forniscono alcun tipo di aggiornamento ai nostri sistemi attuali. Siamo vincolati a piattaforme obsolete e vulnerabili”.
Infatti, secondo gli intervistati, per un’organizzazione industriale è impossibile aggiornare in media circa un endpoint su sei (17%) nella propria rete OT.
“In passato, i proprietari degli asset ritenevano che i sistemi di protezione e automazione alla base dei processi di core business di un’organizzazione industriale sarebbero rimasti immutati per decenni, per l’intero ciclo di vita delle macchine, con la sola eccezione di occasionali modifiche alle impostazioni”, spiega Kirill Naboyshchikov, Business Development Manager di Kaspersky Industrial CyberSecurity.

Come risolvere il problema?

“La prassi comune era quella di avviare i sistemi in blocco, eseguire un retesting completo e una nuova messa in funzione nel caso di modifiche – continua Naboyshchikov -. Tuttavia, l’introduzione dei sistemi di automazione digitale di nuova generazione, ha fatto sì che in molti casi ciò non fosse più possibile. Pertanto, sia i sistemi di automazione generici sia quelli ultra-specializzati basati su computer, dovrebbero essere dotati dei seguenti sottosistemi e strumenti e processi di sicurezza: un sistema di protezione approvato dal vendor, olistico e gestito a livello centrale, monitoraggio permanente della vulnerabilità e scansione della conformità, rilevamento delle intrusioni e delle anomalie di rete, aggiornamento, gestione delle patch e controllo delle versioni”.

I segreti per un salone da parrucchiere con arredamento moderno e accattivante

In primo piano

Avviare un nuovo salone da parrucchiere è certamente una sfida che riguarda diversi aspetti, pratici ed economici.

A queste si aggiungono inevitabilmente determinate esigenze dal punto di vista del design. Le sembianze di un salone da parrucchiere infatti, non rappresentano un aspetto marginale ma al contrario una componente essenziale del successo dello stesso.

L’aspetto estetico infatti contribuisce a rendere un determinato salone da preferire rispetto agli altri, dato che la percezione di raffinatezza e qualità nella mente dei clienti diventa motivo sufficiente per determinare se continuare a visitare quel determinato esercizio commerciale o meno.

Ecco dunque i motivi per i quali bisogna studiare tutte le possibili soluzioni per poter ottenere un design che sia effettivamente moderno, accattivante e che possa dunque rappresentare un valore aggiunto per una attività commerciale.

Quanto segue vale sia nel caso in cui tu stia avviando un nuovo salone da parrucchiere che abbia deciso di effettuare un restyling di quello esistente.

L’analisi degli spazi

Progettare gli arredi in funzione degli spazi a disposizione è un passo importantissimo. Scegliere degli arredi solo perché ci piacciono, senza tenere conto del modo in cui occuperanno volume all’interno dei locali, sarebbe Infatti un errore non da poco.

Consideriamo invece gli arredi prima di tutto in funzione dello spazio che occuperanno e delle persone che necessariamente si muoveranno all’interno del locale. Chiaramente, tutto deve essere funzionale e rendere più facile il lavoro.

Preferiamo dunque mobili che ci consentano di conservare tutti gli strumenti e gli accessori che adoperiamo quotidianamente per lavorare e che permettano di poterli prendere e riporre velocemente.

Per quel che riguarda le poltrone dei clienti, queste devono essere il più possibile comode e accessoriate, facendo così in modo che la sala d’aspetto risulti essere estremamente confortevole.

La zona shampoo

Quello dello shampoo è un momento di particolare benessere e relax. Qui clienti vogliono un po’ sentirsi come in una Spa. Per questo è bene mettere ogni persona a proprio agio sfruttando per questo apposite sedute ergonomiche che consentano anche di distendere le gambe.

Parliamo dunque di postazioni per lo shampoo assolutamente moderne accattivanti dal punto di vista estetico.

La zona taglio e piega

Qui è dove avviene la magia e soprattutto dove si trascorre la maggior parte del tempo all’interno del locale. È questo il momento in cui bisogna far avvertire le nostre coccole al cliente e fare in modo che decida di tornare ancora da noi.

Questo è il luogo giusto per stupire e affascinare il cliente, per cui facciamo bene a circondarlo di elementi d’arredo e forniture per parrucchieri che lasciano il segno.

Pensiamo ad esempio a delle bellissime poltrone che possano essere facilmente regolate in altezza, le cui imbottiture rendano la seduta particolarmente comoda e perché no, un contorno di luci diffuse e grandi specchi che consentano di visionare momento per momento la regolazione del taglio.

Possiamo approfittarne per inserire qui alcuni espositori con prodotti che andremo in seguito a proporre al cliente.

La zona cassa

Questa è soltanto una zona di passaggio, ma ciò non significa che non debba essere allestita adeguatamente.

Potresti posizionare la cassa su un bel bancone e riporre qui dei piccoli espositori con all’interno dei prodotti che i clienti potrebbero decidere di acquistare.

Questa è la zona adatta in cui inserire qualche piccola pianta grassa o vasi con fiori, l’ideale per una zona di passaggio.

Conclusione

Come hai visto, creare un arredamento moderno e accattivante per un salone da parrucchiere non è difficile.

Ci sono certamente alcune cose a cui prestare attenzione, ma in fin dei conti la cosa più importante di cui hai bisogno è la tua creatività ed un po’ di buon gusto.

Come spurgare i termosifoni

In primo piano

Al termine della stagione estiva, prima dell’inizio della stagione invernale, una buona pratica è quella di provare a vedere se i termosifoni funzionano tutti perfettamente o se necessario fare qualche tipo di manutenzione.

Tipicamente infatti è possibile che si verifichi il fenomeno per il quale i termosifoni rimangono freddi nonostante l’accensione della caldaia o che comunque questi non raggiungono la temperatura desiderata.

Dato che non è piacevole ritrovarsi con i termosifoni che non riscaldano a sufficienza quando comincia a fare freddo, è bene per questo fare tale tipo di controlli in anticipo così da non avere sorprese.

Perché i termosifoni non diventano caldi?

I motivi per i quali i termosifoni non diventano caldi possono essere diversi. Il caso classico ed il più frequente, nonchè quello che possiamo tentare di risolvere autonomamente, è quello legato alla presenza di aria all’interno del circuito.

Nel corso dei mesi infatti, è possibile che dal rubinetto della caldaia entri dell’aria direttamente all’interno della rete che raggiunge i termosifoni. L’aria occupa chiaramente dello spazio che viene sottratto all’acqua, la quale ha il compito di far riscaldare le piastre.

Proprio la presenza dell’aria è dunque la responsabile del perché i termosifoni non si riscaldano o comunque non si riscaldano a sufficienza. In questo caso per rimediare è necessario andare ad effettuare l’operazione di spurgo dei termosifoni.

Come si fa lo spurgo dei termosifoni?

Si tratta di una operazione abbastanza semplice che può essere effettuata anche da chi non è esperto. È sufficiente andare ad agire sulla piccola valvola che si trova in ogni termosifone, azionabile mediante l’utilizzo di un cacciavite.

È sufficiente far girare questa piccola valvola per fare in modo da azionare il meccanismo di spurgo. È consigliabile il posizionare un piccolo recipiente sotto la valvola perché assieme all’aria molto probabilmente uscirà anche dell’acqua.

Dato che l’aria è più leggera dell’acqua infatti, essa tende a stazionare in superficie. Questo motivo, una volta azionata la valvola, sarà l’aria ad uscire per prima.

Quando comincerà ad uscire anche l’acqua, vorrà dire che non sarà più presente nessun residuo d’aria all’interno del termosifone e che quindi al suo interno ci sarà soltanto dell’acqua.

A questo punto sarà possibile chiudere la valvola per bloccare il flusso dell’acqua. Questa operazione va ripetuta per tutti i termosifoni di casa, dunque è necessaria un po’ di pazienza.

Tra l’altro, se nel corso di queste operazioni ci si dovesse accorgere che la pressione della caldaia scende notevolmente, è necessario azionare il suo rubinetto e fare entrare dell’acqua all’interno del circuito così che la pressione possa salire nuovamente (consulta le istruzioni tecniche della tua caldaia per sapere a quale pressione di esercizio va impostata).

…e se il problema non fosse ancora risolto?

Quando avrai effettuato questo tipo di operazione su tutti i termosifoni di casa, potrai avviare nuovamente la caldaia e provare a vedere se stavolta tutto funziona normalmente e dunque se tutti i termosifoni diventano caldi.

Sei problema era semplicemente relativo alla presenza di aria nel circuito, con questa operazione di spurgo avrai risolto il problema dato che tutta l’aria presente sarà stata eliminata. Al contrario, se il problema persiste, potrebbe esserci un problema di altra natura.

In questo caso potresti chiedere i ricevere la manutenzione necessaria ad un tecnico specializzato, il quale potrebbe anche eventualmente consigliarti la sostituzione caldaia nel caso in cui il problema sia proprio il dispositivo.

Capita infatti che quando la caldaia è troppo usurata o le sue componenti sono particolarmente deteriorate, sia preferibile direttamente installarne una nuova così che questa possa lavorare in maniera più efficiente e garantire anche un risparmio economico che al momento la vecchia caldaia attuale non è in grado di garantire.

Internet, costi di attivazione in casa dimezzati in 10 mesi

I costi legati all’offerta di Internet per l’uso domestico vanno a picco. Secondo lo studio dell’Osservatorio SosTariffe.it la spesa per l’attivazione della rete Internet a casa negli ultimi 10 mesi è quasi dimezzata: -43%. Lo studio ha analizzato l’evoluzione delle offerte Internet casa avvalendosi dei dati medi ricavati con l’ausilio del proprio comparatore nel periodo tra maggio 2021 e febbraio di quest’anno. È quindi “un momento di grande convenienza per chi cerca una nuova offerta Internet casa, magari veloce, performante e con costi contenuti – spiegano gli analisti di SosTariffe.it”.

L’attivazione scende da una media di circa 82 euro a 46 euro

La voce di costo che più è andata giù è l’attivazione (-43%). Il detestato costo di attivazione, infatti, da una media di circa 82 euro è sceso a 46 euro. Inoltre, le compagnie telefoniche tendono a ripartirlo in un periodo sempre più lungo, non più 11 mesi, ma un po’ più di un anno (12,50 mesi) rendendolo sempre meno percepibile ai clienti che sottoscrivono un nuovo contratto. L’attivazione, quando richiesta dal provider, è quindi quasi sempre ‘nascosta’ nel canone mensile.

Canone mensile standard più allettante per i nuovi clienti

L’Osservatorio SosTariffe.it segnala inoltre che anche il canone mensile standard delle offerte ora è più allettante per i nuovi clienti. Se dieci mesi fa servivano almeno 29 euro al mese per usufruire di una tariffa Internet da rete fissa, ora bastano 27 euro (con un calo dell’8.3%). Anche i canoni promozionali stanno subendo una flessione (-7.8%). Da una media di 27 euro al mese, infatti, si è passati a poco più di 25 euro al mese. Inoltre, ulteriore vantaggio per gli utenti, il periodo promozionale ha ormai una durata indeterminata, riporta Adnkronos

L’avanzata della fibra ottica

Di pari passo con la riduzione dei costi delle offerte è raddoppiata la velocità nominale inclusa nei pacchetti internet casa. Se 10 mesi fa si aggirava su circa 599 Megabit al secondo ora è pari in media a oltre un Gigabit (1167 Megabit). Da cosa dipende questo incremento? Dal fatto che le offerte in fibra ottica stanno gradualmente aumentando copertura e prestazioni in termini di velocità massima di connessione. Quanto al costo promozionale dei pacchetti, si legge su gazzettadimilano.it, sono proprio quelli che comprendono la fibra ottica a subire le maggiori flessioni di prezzo. La fibra FTTH (Fiber-To-The-Home), la più veloce, ha subito la riduzione di prezzo maggiore, per un calo dell’11% rispetto a febbraio scorso, e un costo promozionale che da 28,62 euro scende a 25,45 euro. La fibra mista rame FTTC (Fiber-To-The-Cabinet) registra una flessione del -6%, mentre l’ADSL tradizionale scende del -7%, e la tecnologia di connessione wireless del -5%, passando da un costo medio mensile di 26 euro a 24,72 euro circa.

I podcast approdano anche su LinkedIn

Tra i format di maggior successo in questo momento ci sono sicuramente i podcast, i contenuti “da ascoltare” che stanno sbarcando anche su tutti i principali social media. E ora pure LinkedIn, il social media specializzato in ambito professionale, sceglie di presentare i propri. Un po’ come ha fatto Spotifly, che di recente si è impegnato con grandi investimenti per per allargarsi anche ai podcast. E LinkedIn ne sta seguendo evidentemente la scia, con l’obiettivo di allargare il proprio bacino di utenza.

LinkedIn Podcast Network 

Il social dedicato al mondo del lavoro ha annunciato che produrrà diversi contenuti tutti relativi all’ambito lavorativa. Il servizio si chiama LinkedIn Podcast Network e si occuperà di suggerimenti per colloqui, tecnologia, stress e salute con consigli di esperti. Si tratta di un network con contenuti prodotti dal team di LinkedIn News in collaborazione con figure rilevanti del mondo produttivo, i quali fanno chiaramente riferimento all’ambito lavorativo e vanno a trattare argomenti quali metodologie di recruiting, assunzione di personale e  HR management, tecnologia e benessere mentale dei dipendenti e dei dirigenti. Tutti gli show sono gratuiti e supportati da pubblicità e attualmente lo sponsor in primo piano è IBM. Gratuiti e supportati da pubblicità, i podcast sono iniziati con una release dei primi 12. Quattro vengono curati direttamente dalla redazione, mentre gli altri 8 sono in collaborazione con vari professionisti. Inoltre, la distribuzione è prevista non solo su LinkedIn, ma anche su altre piattaforme, come Apple Podcast, Google Podcast. 

Evoluzione in atto 

LinkedIn ha inoltre annunciato che no si fermerà qui. I prodotti di LinkedIn Podcast Network verranno integrati in varie aree della piattaforma, come newsletter, eventi in diretta, video e articoli testuali, al fine di consentire sia agli host che agli ascoltatori di continuare la conversazione pure su canali diversi e con altri tipi di medium e, ovviamente, anche per cercare di spingere il più possibile il nuovo servizio. Insomma, la tendenza di tutti i principali social pare essere quella di farsi ascoltare, oltre che leggere e vedere.

The Start-Up of You 

Uno di questi podacast – spiega il sito specializzato TechCrunch, riferisca Ansa – sarà co-condotto dall’attuale presidente esecutivo e co-fondatore del social network, Reid Hoffman: partirà in primavera, si chiamerà The Start-Up of You e parlerà di imprenditoria. I podcast stanno attirando in maniera sempre maggiore l’attenzione degli utenti e delle aziende, e anche l’ultima mossa di LinkedIn ne è la conferma. 

In Italia cresce il mercato dell’Intelligenza Artificiale

Sono sempre di più le imprese e i consumatori italiani che si avvicinano all’Intelligenza Artificiale. Tanto che nel 2021 il mercato dell’AI è cresciuto del +27%, raggiungendo quota 380 milioni di euro. Un valore raddoppiato in appena due anni, per il 76% commissionato da imprese italiane (290milioni di euro), per il 24% come export di progetti (90milioni di euro).
Inoltre, secondo la ricerca dell’Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano, il 95% dei consumatori conosce l’AI, anche se solo 6 su 10 sanno riconoscerne le funzioni nei prodotti o servizi utilizzati. E se l’80% ha un’opinione abbastanza o molto positiva dell’AI, rimangono alcune perplessità in merito alla privacy, all’impatto sul lavoro, e in generale, alle implicazioni etiche.

Quanto si investe e in quali progetti?

In Italia il 35% del mercato dell’AI riguarda progetti di algoritmi per analizzare ed estrarre informazioni dai dati (Intelligent Data Processing), un ambito in forte crescita (+32% rispetto al 2020). Seguono le soluzioni per l’interpretazione del linguaggio naturale (Natural Language Processing, 17,5% del mercato, +24%), e gli algoritmi per suggerire ai clienti contenuti in linea con le singole preferenze (Recommendation System, 16% del mercato, +20%).
In forte crescita rispetto all’anno scorso anche i Chatbot e Virtual Assistant (+34%), che si aggiudicano l’10,5% degli investimenti, e le iniziative di Computer Vision (11% degli investimenti, ma in crescita del 41%). Il 10% del mercato poi va alle soluzioni con cui l’AI automatizza alcune attività di un progetto e ne governa le varie fasi (Intelligent Robotic Process Automation).

Il divario per dimensione di impresa

Emerge però un divario significativo per dimensione di impresa. Se da un lato aumenta il numero di grandi aziende che ha avviato almeno un progetto di AI negli ultimi 12 mesi (59%, +6% rispetto al 2020), dall’altro solo il 6% delle Pmi ha fatto altrettanto.
Quanto allo stato di avanzamento dei progetti avviati dalle grandi imprese, scende al 13% il numero di grandi aziende che non hanno avviato iniziative (-9% rispetto al 2020) e salgono al 18% i progetti pilota (+5%). Restano invariati coloro che hanno almeno un progetto pienamente esecutivo (41%, contro il 40% del 2020) e chi invece si dichiara interessato ad avviare iniziative in futuro (27% vs 25%).

L’evoluzione tecnologica

In uno scenario fortemente condizionato dalla crisi dei semiconduttori, si evidenziano due linee di evoluzione tecnologica per l’AI: la crescita di interesse per la Data Analysis, che consente di integrare ed elaborare in tempo reale dati di tipo eterogeneo, e l’attenzione alla sostenibilità.
Alcune ricerche hanno evidenziato infatti come l’1% del consumo mondiale di energia riguardi i Data Center, e come il training di una rete neurale profonda possa portare alla stessa generazione di CO2 di 5 automobili nel corso della loro vita. La sostenibilità energetica entra quindi a far parte del design delle soluzioni di Intelligenza Artificiale, e nel futuro giocherà un ruolo sempre più rilevante dal punto di vista algoritmico. Soprattutto nel mondo del deep learning.

Assistenti vocali, gli anziani che li usano si sentono meno soli

La tecnologia non è a uso esclusivo dei giovani: fuori dalla stretta cerchia dei teenager anche tra chi è più avanti con l’età dalla tecnologia trae vantaggi e benessere. Ad approfondire il rapporto tra l’innovazione tecnologica e gli over 60, più precisamente la fascia 65-80 anni, è il progetto Voice4Health, condotto dal Centro di ricerca dell’Università Cattolica EngageMinds HUB, in collaborazione con DataWizard, e con il contributo di Amazon. Il progetto Voice4Health ha analizzato il rapporto tra gli anziani e l’uso dell’assistente vocale Alexa, e dai dati emerge che più di 6 over 65 su 10 dichiarano di sentirsi meno soli proprio grazie all’assistente vocale.

La tecnologia aumenta il benessere

La ricerca ha visto protagonisti 60 uomini e donne senior e anziani reclutati appositamente per lo studio. Queste persone hanno ricevuto un dispositivo Alexa e sono state intervistate quattro volte: due settimane prima dell’inizio della sperimentazione, appena prima dell’inizio, alla fine delle due settimane di sperimentazione, e dopo altri quindici giorni. Quasi la totalità degli intervistati ha espresso una maggiore volontà di comunicare con altre persone mediante nuove tecnologie, e il 75% del campione alla fine della sperimentazione sostiene di aver visto aumentare il proprio stato di benessere. 

Cos’hanno di speciale gli assistenti vocali?

Gli assistenti vocali sono tecnologie che con il solo uso della voce permettono di attivare un promemoria, riprodurre musica e video, ascoltare le ultime notizie e rimanere sempre in contatto con parenti e amici. Ci vuole poco a immaginare il ruolo di questi strumenti nella vita di chi deve fare i conti con la solitudine e vive in prevalenza in casa. Lo studio dell’EngageMinds HUB rileva infatti che la risposta positiva alla domanda ‘Mi sono sentito calmo e rilassato’ usando un assistente vocale è cresciuta nel corso del periodo di otto settimane.
“Dal punto di vista emotivo – spiega la ricercatrice Serena Barello – il 52% degli intervistati ha dichiarato di aver mantenuto un elevato stato di benessere anche nelle settimane successive alla sperimentazione. Ma di tutto rilievo è stato anche l’impatto sulle relazioni sociali – aggiunge Barello – perché dopo la sperimentazione ben il 62% degli intervistati ha avuto la sensazione di sentirsi meno solo e il 98% ha espresso una maggior volontà di comunicare con altre persone mediante le nuove tecnologie”.

Non c’è solo Alexa

Alexa è l’assistente vocale implementato su tutti i dispositivi smart prodotti da Amazon, e al momento è l’assistente vocale che ha la maggior compatibilità anche con device di terze parti, come ad esempio Philips. Ma non è l’unico,  riporta Agi. C’è anche Microsoft, con Cortana, e Google, con il suo ecosistema Google Assistant, che può inviare messaggi, avviare chiamate, riprodurre musica, ma anche controllare la domotica, come la regolazione della temperatura o l‘impianto di illuminazione. L’assistente vocale di Apple poi si integra perfettamente con tutti i dispositivi Apple e con gli accessori per la domotica certificati Works with Apple HomeKit, che permettono di controllare tutta la casa semplicemente con la voce.

Raddoppiano i finanziamenti alle startup hi-tech italiane

Nel 2021 i finanziamenti alle startup hi-tech italiane sono raddoppiati. Durante l’anno ancora in corso gli investimenti totali in Equity di startup hi-tech italiane ammontano infatti a 1,461 miliardi di euro, il 118% in più rispetto al totale registrato a consuntivo del 2020, pari a 669 milioni di euro.  Un valore, quindi, più che raddoppiato, e che rappresenta un passaggio epocale per il nostro ecosistema, che finalmente ‘sfonda’ la soglia rappresentativa del miliardo di euro di investimenti annui.  Secondo l’Osservatorio Startup Hi-tech, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano in collaborazione con InnovUp – Italian Innovation & Startup Ecosystem, si tratta di una crescita annua senza precedenti, addirittura superiore al balzo effettuato tra il 2017 e il 2018.

La tendenza a raccogliere più investimenti nei round successivi al primo

Dei 193 round di finanziamento registrati nel 2021, 115 (60%) risultano essere ‘primi round’, ovvero il primo investimento in assoluto per la startup. Questo valore risulta in perfetta linea con quello registrato lo scorso anno, quando i primi round erano stati 94 (55% dei round 2020). Il taglio medio degli investimenti in primo round è passato da 4,7 milioni del 2020 ai 4 milioni del 2021, registrando un lieve calo. La forte crescita di quest’anno è quindi maggiormente spiegata dalla tendenza degli investimenti raccolti nei round successivi. Nel 2021, infatti, questi ultimi registrano una media per singolo round pari a 12 milioni di euro, contro i 9 milioni del 2020.

Gli investitori formali confermano il ruolo di guida per l’intero ecosistema

I finanziamenti provenienti da attori formali (i fondi di Venture Capital indipendenti, di Corporate Venture Capital aziendali e il Governmental Venture Capital o Finanziarie Regionali) confermano il loro tradizionale ruolo di guida per l’intero ecosistema. Questo, grazie a una crescita di circa il 96%, e passando dai 294 milioni di euro del 2020 ai 576 milioni del 2021 È infatti al comparto degli investitori formali che si deve buona parte dell’impresa odierna dell’ecosistema italiano. I finanziamenti da attori informali (Venture Incubator, Family Office, Club Deal, Angel Network, Independent Business Angel, piattaforme di Equity Crowdfunding e aziende non dotate di fondo strutturato di CVC), è la seconda componente a determinare il valore complessivo, e registra una crescita superiore al 92%, passando dai 245 milioni di euro del 2020 ai 449 del 2021.

Triplica il valore dei finanziamenti internazionali 

Anche la terza componente, quella dei finanziamenti internazionali, determina in maniera significativa il raddoppio degli investimenti del 2021. Passando da circa 130 milioni di euro del 2020 agli oltre 435 milioni di quest’anno esprime un valore più che triplicato, e torna a costituire circa un terzo dell’intero ecosistema come nel 2019. I capitali attratti dall’ecosistema startup hi-tech da parte di player esteri nel 2021 provengono prevalentemente dagli Stati Uniti (74%), seguiti dall’Europa (25%), e in parte minore dall’Asia (0,43%).

In un anno raddoppia il numero di attacchi ai dispositivi IoT

I dispositivi IoT (Internet of Things) smartwatch, serrature, fitness tracker e molti altri sono ormai ovunque. Secondo gli analisti del mercato IoT, ogni secondo vengono connessi a Internet 127 nuovi dispositivi. Dato il numero elevato, questi dispositivi attirano l’attenzione non solo degli utenti entusiasti ma anche dei criminali informatici. Durante i primi sei mesi del 2021 gli honeypot di Kaspersky, software che imita un dispositivo vulnerabile, hanno rilevato oltre 1,5 miliardi di attacchi indirizzati a dispositivi IoT. Il numero è raddoppiato rispetto al semestre precedente.

Barattoli di miele virtuali per catturare i cybercriminali

Per tracciare e prevenire gli attacchi contro i dispositivi smart, gli esperti di Kaspersky hanno creato degli honeypot, letteralmente “barattoli di miele”. Si tratta di software speciali che imitano un dispositivo vulnerabile. Distribuiti pubblicamente su Internet, gli honeypot simulano i dispositivi reali e funzionano come trappole per i criminali informatici. Secondo l’analisi dei dati raccolti dagli honeypot creati da Kaspersky, c’è una tendenza costante all’aumento del numero di attacchi ai dispositivi IoT. Nel primo semestre 2021 il numero totale di tentativi di infezione è arrivato a 1.515.714.259, mentre nei sei mesi precedenti ne sono stati registrati 639.155.942.

Crescono gli attacchi provenienti dall’Italia

Nella maggior parte dei casi, i tentativi di connessione hanno utilizzato il protocollo telnet (utilizzato per accedere a un dispositivo e gestirlo da remoto), mentre i restanti hanno utilizzato SSH e web. Anche il numero di attacchi IoT provenienti dall’Italia ha subito una notevole crescita nell’ultimo periodo, con un incremento del 93%. Nel secondo semestre del 2020, infatti, il numero di attacchi registrati ammontava a 1.892.200, mentre nel primo semestre del 2021 il dato è raddoppiato, raggiungendo i 3.650.500. I criminali informatici che prendono di mira i dispositivi IoT tengono i loro toolset sempre aggiornati. Gli esperti di Kaspersky segnalano che sempre più exploit vengono usati come arma dai criminali informatici, e che i dispositivi infetti vengono spesso utilizzati per rubare dati personali, per il mining di criptovalute, e per i più tradizionali attacchi DDoS.

Installare una soluzione di sicurezza affidabile

“Da quando i dispositivi IoT, come smartwatch e accessori smart per la casa, sono diventati una parte essenziale della nostra vita quotidiana, i criminali informatici hanno sapientemente spostato la loro attenzione in quest’area – commenta Dan Demeter, security expert di Kaspersky -. Abbiamo notato che gli attacchi si sono intensificati con l’aumento dell’interesse degli utenti verso questo tipo di dispositivi. Le persone credono di non essere abbastanza importanti per essere vittima di un hacker, ma nell’ultimo anno abbiamo potuto osservare un grande aumento degli attacchi verso i dispositivi IoT. La maggior parte di questi attacchi si può prevenire, ecco perché consigliamo ai possessori di smart home di installare una soluzione di sicurezza affidabile, che li aiuti a proteggersi”. 

Gli studi professionali investono nel digitale: nel 2020, +l 7,9%

Sono 1,694 miliardi di euro gli investimenti in strumenti digitali attuati da avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro nel 2020, una cifra del l 7,9% in più rispetto all’anno precedente. E per il 2021 le stime indicano un’ulteriore crescita del +5,6%, che porterà il budget a sfiorare quota 1,8 miliardi. Nel 2020 gli investimenti in tecnologie per la gestione elettronica documentale (+34%), strumenti di workflow (+57%), CRM (+120%), business intelligence (+86%) e machine learning (+125%), hanno trainato la spesa negli studi di piccole, medie e grandi dimensioni, mentre le micro strutture, oltre che sulla gestione elettronica documentale (+37%), hanno puntato su tecnologie più centrate sulle esigenze immediate, come canali social (+26%) e VPN (+44%). Si tratta di alcuni risultati della ricerca dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale della School of Management del Politecnico di Milano.

Una nuova consapevolezza sui cambiamenti necessari a rendersi competitivi

L’emergenza sanitaria ha portato nuova consapevolezza sui cambiamenti necessari per mantenere competitivo lo studio, come una maggiore comprensione dei propri punti di forza e debolezza, soprattutto fra gli avvocati (nel 25% dei casi), e una più attenta valutazione delle attitudini dei collaboratori, oltre che dei soli aspetti organizzativi del lavoro in remoto, soprattutto fra i consulenti del lavoro (34%) e negli studi multidisciplinari (43%). Uno studio su quattro, poi, è pronto a ripensare i propri modelli organizzativi, e per il 70% la crisi ha cambiato le modalità di gestione della clientela, per la quale servono più adeguate tecnologie collaborative e un investimento nella formazione. 

Micro e piccole strutture non hanno dedicato risorse all’innovazione digitale

Nel 2020 il 31% degli studi professionali ha investito oltre 10mila euro in tecnologie digitali (+6% rispetto al 2019), il 36% fra 3mila e 10mila euro, il 17% fra mille e 3mila e il 12% meno di mille euro. Il 4%, composto quasi totalmente da micro e piccole strutture, non ha dedicato risorse all’innovazione digitale, esponendosi a ulteriori rischi di marginalizzazione in un periodo in cui la tecnologia è risultata ancor più abilitante per lo svolgimento delle attività lavorative.
Gli studi multidisciplinari sono la categoria che ha investito di più (in media 25.300 euro), seguita da commercialisti (12.100 euro), consulenti del lavoro (10.100 euro) e avvocati (8.700 euro). Questi ultimi hanno anche aumentato maggiormente la spesa digitale (+29,9%).

Fatturazione elettronica e applicazioni per videochiamate le tecnologie più adottate

Le tecnologie più presenti in tutte le categorie professionali sono la fatturazione elettronica e le applicazioni per le videochiamate. Quasi un commercialista su due punta sull’e-learning (49%), mentre è ancora limitato l’investimento nei canali digitali, con solo il 39% che ha un sito proprietario e il 25% che è presente sui social media.
Limitata ma in miglioramento la presenza digitale dei consulenti del lavoro (il 45% ha un sito e il 27% uno o più account social), che risulta invece più sviluppata fra gli avvocati (il 54% ha un sito e nel 36% è presente sui social) La VPN invece è la terza tecnologia più adottata dagli studi multidisciplinari (61%), che hanno anche la presenza digitale più strutturata: il 59% ha un sito web, il 40% almeno un account social.