Il decalogo dell’head hunter per affrontare il primo giorno di lavoro

Il primo giorno di lavoro è sempre una sfida difficile da affrontare. Paura di non risultare all’altezza del compito, ansia, tensione, sono i sentimenti che affliggono i neo assunti, ma che è bene superare per riuscire a fare una buona impressione e non commettere errori. E in questi mesi sono decine di migliaia i ragazzi coinvolti in questa sfida, e che si chiedono come poterla affrontare al meglio. La risposta arriva da Carola Adami, l’head hunter di Adami & Associati, che ha compilato una lista di 10 consigli per aiutarli ad affrontare al meglio il primo giorno di lavoro. E superare la prova con successo.

Arrivare presto, presentarsi rilassati e ascoltare

Primo consiglio, arrivare in anticipo di almeno 15 minuti. Sicuramente è un buon inizio e dà un ottima prima impressione. Presentarsi rilassati e riposati, inoltre, rende più energici e produttivi, ed essere al proprio meglio aiuta a creare una buona prima impressione. E poi, “ascolta, ascolta, ascolta – consiglia Adami -. Spendi gran parte del primo giorno di lavoro all’ascolto, e cerca di fare domande intelligenti quando necessario”..

Terzo consiglio, ricordarsi che l’occhio vuole (sempre) la sua parte. Presentarsi vestito come richiesto dai codici aziendali e dal buon gusto è importante. Se si hanno dubbi in merito conviene informarsi prima riguardo eventuali regole interne sull’abbigliamento.

Sorridere, fare amicizia, non strafare

La prima impressione è quella che conta, si sa. Quando si incontrano nuove persone è bene sorridere e presentarsi stringendo la mano. Un modo per rendersi piacevoli e interessanti agli occhi dei nuovi colleghi. Magari cercando di fare amicizia con almeno un collega, perché  aiuta ad ambientarsi e a capire le dinamiche interne al team e all’azienda. Rendersi sempre disponibile a dare una mano, mostrando buona volontà, sarà contagioso, e in cambio si riceverà aiuto quando se ne avrà bisogno.  Importante però è non essere impaziente, “L’impulso a voler fare troppo il primo giorno può venir fuori, ma consiglio di tenerlo a bada perché a esagerare in certe situazioni si provoca l’effetto contrario, e potrebbe creare antipatie nel nuovo ambiente di lavoro”, ricorda l’head hunter.

Andare a pranzo con i colleghi, attenzione al linguaggio del corpo, silenziare lo smartphone

Se viene offerto di andare a pranzare con il nuovo capo o i nuovi colleghi conviene accettare. Questo dimostra la volontà di fare squadra, e servirà per allacciare relazioni e comprendere il nuovo ambiente. Ma soprattutto il nuovo compito: per svolgerlo in modo eccellente prestare molta attenzione alle “istruzioni” relative alla nuova mansione. Il primo passo verso il successo professionale.

“Il linguaggio del corpo costituisce buona parte della nostra comunicazione – commenta Adami -. Valuta quindi quello che stai comunicando ai colleghi, cerca di capire come gli altri possono percepirti e regolati di conseguenza”.

Last but not least, silenziare il cellulare. Messaggiare o sbirciare il telefono non permette di essere presente sul lavoro al 100%. In particolare, il primo giorno.

Non solo social, ma anche cinema: arriva in Italia Facebook Film

Lanciata per la prima volta negli Stati Uniti, e più recentemente nel Regno Unito e in Canada, ora arriva anche in Italia Facebook Film, la nuova funzionalità dedicata agli appassionati di cinema. Facebook Film consente infatti di visualizzare tutti gli spettacoli cinematografici in programmazione nelle vicinanze, ovunque ci si trovi, e di condividere l’esperienza sul social network. Ma non solo. Perché oltre a fornire una guida ai film in programmazione nelle sale la nuova funzione permette anche di acquistare il biglietto sul sito del cinema prescelto. Per provare Facebook Film è sufficiente accedere al menu generale di Facebook e selezionare l’icona con l’immagine di una bobina cinematografica.

Acquistare i biglietti direttamente su Facebook

Una volta cliccato sull’icona della bobina appariranno due sezioni, “Film”, che contiene l’elenco degli spettacoli in programmazione, la descrizione, il trailer, e tutte le informazioni su cast e regista, e “Cinema”, che include la lista delle sale, gli orari degli spettacoli e i link per acquistare il biglietto online. Una volta selezionati film e sala, i biglietti possono essere acquistati con un solo clic direttamente sul sito del cinema (nel caso sia disponibile l’e-commerce), sul quale viene effettuato il pagamento e completata la transazione. A fine procedura, il cinema invia all’acquirente una conferma via email con il codice a barre o il QR code dell’e-ticket, a seconda di quanto previsto dal sistema di e-commerce utilizzato.

Opportunità anche per le major cinematografiche

La nuova funzione di Facebook, riporta Askanews, offre però opportunità anche alle major cinematografiche. Tanto che il lancio di Film nel nostro Paese si accompagna a una serie di nuove opzioni, che dal 3 giugno sono disponibili a tutte le major per rendere più interattiva l’esperienza cinematografica per ciascuno dei loro titoli. Warner Bros. Entertainment Italia è stata la prima major a testare le nuove funzionalità il 30 maggio, in occasione dell’uscita nelle sale italiane di Godzilla II King of the Monsters, il nuovo capitolo dell’universo monsterverse.

Il pulsante Mi interessa permette di rimanere aggiornati sull’uscita dei film nelle sale

Per tutti coloro che metteranno un like alla pagina del film preferito in uscita o anche in programmazione, saranno poi disponibili altri due pulsanti, “Mi interessa” e “Controlla Orari”. Il primo pulsante permette di rimanere aggiornati sull’uscita del film nelle sale, e il secondo di acquistare il biglietto. Naturalmente con un solo clic, e direttamente sul sito del cinema.

Cambiare lavoro? Si, se lo stipendio è troppo basso

Cosa spinge i dipendenti a desiderare di cambiare lavoro? Al primo posto nella classifica delle motivazioni che spingono gli italiani a cercare un altro datore di lavoro c’è lo stipendio troppo basso. Un motivo indicato dal 47% del campione intervistato dalla ricerca globale Randstad Employer Brand, dedicata all’employer branding. Secondo la ricerca in seconda posizione si trova lo squilibrio fra la vita privata e quella professionale (38%), e al terzo posto, le scarse opportunità di carriera (36%). La classifica continua con la mancanza di premi o di riconoscimento professionale al quarto posto, indicata dal 34% degli intervistati, e al quinto, la carenza di sfide (30%).

Generazioni a confronto: mancanza di stimoli vs impossibilità di fare carriera

Se l’assenza di stimoli e sfide professionali è il primo motivo che induce i lavoratori 55-64enni a cambiare lavoro, la generazione successiva, quella dei 35-54enni, vorrebbe andarsene più per la mancanza di riconoscimenti, e i Millennials (25-34 anni) si mettono alla ricerca di nuove opportunità se si accorgono di non avere un buon rapporto con il proprio diretto superiore. I giovanissimi, quelli fra i 18 e i 24 anni, lasciano invece il posto se non intravedono opportunità di carriera.

Perché scegliere di continuare a lavorare nella stessa azienda

Gli italiani che invece hanno scelto di continuare a lavorare per la stessa azienda sono stati attratti soprattutto dalle politiche di work-life balance (45%), dalla sicurezza del posto (41%), dall’atmosfera di lavoro piacevole (41%), dalla solidità finanziaria (38%) e dalla vicinanza dell’azienda (36%). Ma, anche in questo caso, le ragioni che legano i dipendenti all’azienda variano a seconda della fascia di età. E in qualche caso sono contrari e speculari ai motivi per cui gli stessi dipendenti scelgono di andarsene. Il 34% dei più giovani (under 25) infatti sceglie di restare se ci sono opportunità di carriera, il 29% dei 25-34enni resta se il datore di lavoro offre programmi formativi, il 39% dei lavoratori fra i 35 e i 54 anni invece rimane fedele all’azienda se si trova in una posizione conveniente. E il 46% degli over 55 mette al primo posto tra i motivi per rimanere la sicurezza del posto di lavoro, riporta Adnkronos.

Il 72% degli intervistati rinuncerebbe a parte dello stipendio in cambio di maggiore sicurezza

In ogni caso, la sicurezza del posto di lavoro è in cima ai pensieri della maggior parte del campione. Il 72% degli intervistati, infatti, sarebbe disposto a rinunciare a una parte del proprio stipendio in cambio di una maggiore sicurezza. E se il 17% rinuncerebbe a oltre il 10% del salario quasi uno su cinque, il 19%, farebbe a meno di una cifra compresa fra il 6% e il 10% della paga. Per un 24% poi la sicurezza “vale” una parte di stipendio compresa fra l’1% e il 5%.

Coppie e social, taggare il partner salva la relazione

Protagonisti della quotidianità i social esercitano una grande influenza sulla vita sociale di chi li utilizza, tanto più sulle relazioni di coppia. La conferma arriva da uno studio condotto da due atenei americani, la Carnegie Mellon University di Pittsburgh (Pennsylvania), e l’Università del Kansas. Nello studio sono stati coinvolti 692 partecipanti ai quali è stato richiesto se, e quanto, la pubblicazione di un contenuto o un gruppo di post abbia influito sulla loro relazione amorosa. I ricercatori hanno deciso di contattare anche il partner attivo sui social media, per verificare eventuali distorsioni nelle informazioni fornite dagli intervistati.

Una conclusione prevedibile: i social influenzano la vita di coppia

Lo studio è stato condotto su 5 differenti test, ognuno dei quali volto a valutare l’effetto di un particolare tipo di interazione sul web. Un test, ad esempio, ha riguardato il caso in cui il partner pubblica contenuti solo su di sé, mentre un altro ha considerato il caso in cui il partner interagisce direttamente con amici e parenti. Dall’analisi dei dati è emersa una conclusione decisamente prevedibile: i social media esercitano una forte influenza sulla vita di coppia. Resta però da capire se questo porterebbe a un rafforzamento della relazione o a un allontanamento dei due partner.

Includere il partner nell’interazione sul web fa bene alla relazione

La joint research fornisce risposte anche in merito a questa domanda. La conclusione alla quale sono giunti i ricercatori è che la condivisione di contenuti sui social media può rafforzare la relazione, a patto però che il partner sia incluso nei post e nelle interazioni.

“Sembra che il motivo per il quale alcune relazioni risultino compromesse dalle attività social sul web sia che uno dei due partner presta eccessiva attenzione solo alla propria figura, cercando di mettere in mostra una parte della propria vita nella quale il compagno o la compagna non è inclusa”, spiegano gli esperti del portale di psicologia PsicologiOnline.

“Essere protagonisti di una dedica d’amore in pubblico”

“Un post in cui il partner è presente, anche se non è l’assoluto protagonista, fa sentire quest’ultimo importante e significativo, quasi come se fosse protagonista di una dedica d’amore in pubblico”, aggiungono gli esperti del portale. La ricerca è tra le prime che analizzano con un approccio scientifico le interazioni tra social media e vita sentimentale. Non è da escludere che grazie a risultati ottenuti si indaghi ulteriormente in merito.

Personale disabile, impatto positivo per l’88% dei manager

Per l’88% dei manager italiani la presenza di personale con disabilità all’interno dell’organizzazione aziendale produce un impatto positivo su tutti i dipendenti, ma anche e soprattutto, sulle capacità manageriali. Secondo una ricerca condotta da AstraRicerche per Manageritalia, ciò porterebbe i dirigenti a organizzare le attività in maniera più efficiente, a semplificare i processi e a valutare meglio le persone. Per i due terzi dei manager (65,2%), inoltre, le imprese con dipendenti disabili hanno organizzazioni di lavoro più innovative, processi più semplici, e luoghi di lavoro più razionali.

Gli effetti positivi dell’inclusione in azienda

Le ricadute di questa inclusione, affermano i manager intervistati, hanno effetti positivi su tutti i lavoratori, sul rafforzamento di una cultura di gestione e valorizzazione delle diversità e sulla competitività aziendale.

“Il percorso per la non discriminazione è ancora lungo – commenta Roberto Beccari, presidente Manageritalia Lombardia – ma per fortuna molta strada è già stata fatta. Come evidenzia la nostra indagine, la consapevolezza dei manager sul valore aggiunto dato dalla disabilità, come più in generale dalle diversità, per le imprese è ormai totale”.

Creare un comune senso di appartenenza aiuta a sfidare i mercati

Ma la sensibilità alle differenze da sola non basta a creare questa evoluzione. “Occorre – suggerisce Beccari – l’applicazione di un approccio manageriale che consenta di identificare e realizzare cambiamenti organizzativi e di processo che generino un clima di fiducia, di accettazione, di accoglienza e di apprezzamento”. Si tratta di un cambio, quindi, non solo culturale, ma soprattutto concreto, “che possa consentire all’impresa di sfidare con successo i mercati attraverso l’innovazione e la competitività – aggiunge il presidente di Manageritalia Lombardia – prodotta da un lavoro di team variegato e coeso in un comune senso di appartenenza”.

Promuovere anche sul territorio i benefici della diversità

“La valorizzazione delle diversità è un impegno che noi manager non vogliamo realizzare solo nelle aziende – sottolinea Beccari – ma anche condividere e portare sul territorio, consapevoli delle responsabilità e della dimensione sociale del nostro ruolo di manager”.

Secondo il 74,8% dei manager, per promuovere sul territorio i benefici della diversità serve fare informazione, cultura e costruire le specifiche competenze, anche attraverso la promozione di momenti formativi di tutto il personale. E l’82,6% degli intervistati, riporta Adnkronos, pensa che servano le competenze e le esperienze di associazioni no profit che possano contribuire a una maggiore conoscenza sulla gestione della disabilità in azienda

Ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri: il divario si allarga

Nel 2018 26 ultramiliardari detenevano da soli l’equivalente in termini di ricchezza della metà più povera del pianeta. Una concentrazione di enormi fortune nelle mani di pochissimi che evidenzia l’iniquità sociale e l’insostenibilità dell’attuale sistema economico. Nel 2018 i super-ricchi hanno accresciuto le proprie fortune del 12% al ritmo di 2,5 miliardi di dollari al giorno, mentre i più poveri hanno visto diminire quel che avevano dell’11%. I dati sull’Olimpo della ricchezza di Oxfam rappresentano in modo drammatico il divario registrato lo scorso anno: a metà 2018 l’1% più ricco possedeva poco meno della metà (47,2%) della ricchezza aggregata netta, contro un magro 0,4% assegnato a 3,8 miliardi di persone.

In Italia il 20% detiene il 72% dell’intera ricchezza nazionale

Il Rapporto di Oxfam rivela come il persistente divario tra ricchi e poveri comprometta i progressi nella lotta alla povertà, danneggi le nostre economie e alimenti la rabbia sociale in tutto il mondo.

In Italia il 20% più ricco dei nostri connazionali possedeva, nello stesso periodo, circa il 72% dell’intera ricchezza nazionale. Il 5% più ricco degli italiani era titolare da solo della stessa quota di ricchezza posseduta dal 90% più povero. Allo stesso tempo, se la quota della ricchezza globale nelle mani dell’1% più ricco dal 2011 è in crescita, il trend opposto caratterizza la riduzione della povertà estrema, riferisce Adnkronos.

Sanità e istruzione sotto-finanziati, le grandi corporation non contribuiscono fiscalmente

Dopo la drastica diminuzione del numero di persone che vivono con un reddito di meno di 1,90 dollari al giorno avvenuta tra il 1990 e il 2015, dallo stesso anno fino al 2018 il tasso annuo di riduzione della povertà estrema è rallentato di più del 40%. Un aumento che colpisce i contesti più vulnerabili, come l’Africa subsahariana. Lo studio mette in evidenza le responsabilità dei governi nel non adottare misure efficaci per contrastare la disuguaglianza. Servizi essenziali come sanità e istruzione continuano a essere sotto-finanziati, la lotta all’elusione fiscale ristagna, mentre le grandi corporation e i super-ricchi contribuiscono fiscalmente meno di quanto potrebbero.

La soluzione? Rendere più equo il fisco

“Non dovrebbe essere il conto in banca a decidere per quanto tempo si potrà andare a scuola o quanto a lungo si vivrà”, sottolinea Winnie Byanyima, direttrice di Oxfam International. Eppure è questa la realtà in gran parte del mondo. Per potenziare il finanziamento dei sistemi di welfare nazionali sarebbe necessario rendere più equo il fisco, invertendo la tendenza che ha portato alla graduale erosione di progressività dei sistemi fiscali, e a un marcato spostamento del carico fiscale dalla tassazione dei redditi da capitale a quella sui redditi da lavoro e sui consumi. Se I’1% dei più ricchi pagasse appena lo 0,5% in più di imposte sul patrimonio nel prossimo decennio si avrebbero risorse sufficienti per mandare a scuola 262 milioni di bambini e salvare la vita a 100 milioni di persone.

Natale alle porte, stressati 8 italiani su 10

Natale è dietro l’angolo e, come tutte le “grandi occasioni”, porta con sé un carico di incombenze e di stress. Il countdown natalizio è un momento di crescente ansia che ci accompagna alla fine dell’anno, tra i doveri da chiudere al lavoro e l’organizzazione per le festività. E lo stress è in agguato.

Il male del secolo

Già, lo stress: nel nostro Paese 9 persone su 10 ne soffrono. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità è il male del secolo. Lo stress colpisce quasi tutti, nella vita privata come nel lavoro. Il disturbo può presentarsi con spossatezza, depressione, mal di testa, ansia, insonnia, e colpisce soprattutto in questo periodo dell’anno, quando alla stanchezza dovuta al cambio di stagione si aggiungono i preparativi di Natale.  “Lo stress – spiega ad Askanews la psicologa Paola Medde, coordinatrice del Gruppo di Lavoro di Psicologia e Alimentazione – è una reazione di adattamento dell’organismo alle nuove situazioni che ci si presentano nella quotidianità. Oggi viviamo in un’epoca multi-task e multiruolo, siamo contemporaneamente professionisti, genitori, coniugi. Il tempo di adattamento e di risposo si è molto ridotto rispetto al passato, e costringiamo il nostro organismo a tempi di reazione continui e a un perenne stato d’allerta”.

Stress sotto controllo a tavola

Quando si vive una situazione stressante, mangiare in modo corretto potrebbe essere l’ultima cosa che ci viene in mente. Eppure, le cattive scelte alimentari possono innescare problemi di salute o di altro genere, aumentando ancora di più la tensione emotiva. Ma come interrompere questo circolo vizioso? Ci sono alimenti che più di altri lavorano a nostro favore, perché ricchi di quei nutrienti indispensabili per una buona reazione dell’organismo e del cervello in particolari momenti di pressione, come le vitamine del gruppo B12, la vitamina A, l’acido folico e sali minerali come potassio e magnesio. Secondo Luca Piretta, gastroenterologo e nutrizionista presso l’Università Campus Biomedico di Roma, “le carni in generale, le uova, i legumi, le verdure garantiscono il giusto apporto di vitamina B12 e di acido folico, che favoriscono la formazione cellulare e, in caso di necessità, di cellule immunitarie. Fondamentale per le difese del nostro organismo anche frutta e verdura per l’apporto di vitamina A”. E tra la carne è particolarmente consigliata quella bianca, pollo e tacchino, grazie anche all’ampia disponibilità di amminoacidi e triptofano che aiutano il corpo a rilasciare la serotonina, che contribuisce a farci sentire più calmi e felici, anche più del cioccolato. Come sottolinea Piretta, “se il cioccolato è classicamente considerato un cibo antistress per le sue proprietà stimolanti, mangiare pollo ci assicura lo stesso apporto di triptofano e sali minerali con il vantaggio di non consumare un alimento grasso e ricco di zuccheri”.

Si a qualche strappo alla regola

“Esiste anche un rapporto diretto, dovuto alle proprietà degli alimenti che consumiamo e al loro effetto sul nostro umore” precisa la dottoressa Medda. Via libera quindi a qualche strappo alla regola come un dolcetto in più, se può aiutare a superare la tensione o “ad allentare un momento di ansia”. Infine, ricorda Piretta, “Non esistono cibi buoni e cibi cattivi in assoluto. Ciò che fa bene è l’equilibrio tra i nutrienti”.

Il problema evasione fiscale

Evasione fiscale, quanto ci costi! Il peso delle mancate entrate è stato rilevato da una ricerca del Centro studi di Unimpresa basata su dati del ministero dell’Economia e delle Finanze. In soldoni – e il termine è quanto mai appropriato – l’evasione fiscale in Italia raggiunge una quota di circa 108 miliardi di euro. E, proprio per questo, alle casse dello Stato vengono sottratti ogni 12 mesi, in media, 97 miliardi di tasse e quasi 11 miliardi di contributi previdenziali per un totale di 107 miliardi e 933 milioni.

L’andamento Irpef e Iva

Nel 2016, periodo per il quale i dati sull’Irpef, imposta sul reddito delle persone fisiche, la tassa più odiata dagli italiani, sono parziali, il totale dell’evasione ha raggiunto quota 90,2 miliardi, ma mancano i dati relativi ai contributi. Nel 2011, l’evasione ha toccato quota 104,8 miliardi (94,4 miliardi di tasse e 10,4 miliardi di contributi); nel 2012 l’ammontare è salito a 108,1 miliardi (97,4 miliardi e 10,5 miliardi), per poi calare leggermente nel 2013 a 106,9 miliardi (96,6 miliardi e 10,2 miliardi); nel 2014 lo stock di evasione ha raggiunto il record con 112,6 miliardi (101,3 miliardi e 11,2 miliardi). Poco dietro si posiziona, l’Iva con una media di 35,7 miliardi nel periodo 2011-2015; negli anni precedenti l’evasione della tassa sui consumi si è attestata a 36,7 miliardi nel 2011, a 36,1 miliardi nel 2012, 34,7 miliardi nel 2013, 36,4 miliardi nel 2014, 34,8 miliardi nel 2015 e 34,8 miliardi nel 2016.

Ires, Imu e Irap le più “antipatiche”

L’imposta sul reddito delle società, Ires, la media dell’evasione è di 8,3 miliardi nel periodo 2011-2015; negli anni precedenti l’evasione della tassa sui redditi delle persone giuridiche si è attestata a 9,1 miliardi nel 2011, 8,4 miliardi nel 2012, 8,3 miliardi nel 2013, 8,9 miliardi nel 2014, 6,8 miliardi nel 2015 e 7,6 miliardi nel 2016. Quanto al settore immobiliare, l’evasione relativa all’Imu/Tasi è in media pari a 3,9 miliardi, ma dal 2014 al 2016 ha superato i 5,1 miliardi. La quota di evasione relativa all’Irap (imposta regionale sulle attività produttive) si attesta (media 2011-2015) a 8,1 miliardi (9,1 miliardi nel 2011; 8,4 miliardi nel 2014; 5,7 miliardi nel 2015 e 5,3 miliardi nel 2016). E ancora: quella relativa ai tributi applicati sulle locazioni vale in media 1,1 miliardi). Insomma, gli italiani devono ancora imparare a fare i conti con le tasse.

Milano e Lombardia in pole position per innovazione

Secondo i dati della Camera di commercio l’innovazione passa per Milano. Con 14 mila imprese, aumentate del 3,5% in un anno e dell’8% in cinque anni, il capoluogo lombardo in Italia è sul primo gradino del podio dell’innovazione. Ma ai primi posti anche Roma, Torino e Napoli. Solo in Lombardia le imprese sono 27 mila, cresciute del 2,5% in un anno, e una su cinque a livello nazionale (120 mila, +2,6%). Imprese che investono in ricerca oltre 3 miliardi all’anno, e danno lavoro a 33 mila addetti. E in Europa la Lombardia è undicesima tra le principali regioni per spesa in R&S.

Milano guida il settore chimico e farmaceutico, e i servizi informatici

È quanto emerge da una elaborazione della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi sui dati del registro imprese al primo trimestre 2018. In particolare, sulle imprese attive nei settori dell’innovazione ad alto contenuto tecnologico, nella produzione di software e consulenza informatica, architettura, ingegneria, collaudi ed analisi tecniche, commercio tramite internet, telecomunicazioni. E Milano è leader soprattutto nel settore chimico e farmaceutico, ma è forte anche nella specializzazione nei servizi informatici, il 43% di tutte le imprese innovative, rispetto al 37% in Italia.

La classifica delle città più innovative

Se l’innovazione italiana conta 120 mila attività (+2,6%), per quanto riguarda la classifica delle città lombarde più innovative in Lombardia a Milano seguono Brescia, con 2.598 imprese, Bergamo, con 2.321, Monza e Brianza, con 2.192, e Varese, con 1.645. Città che si piazzano tutte tra le prime 20 italiane.

A livello nazionale dopo Milano si classifica Roma, con 13 mila imprese, mentre Torino è terza con 6 mila imprese attive. Seguono Napoli, con 5 mila, e Brescia con 2.598 imprese. Superano le 2 mila attività anche Bologna, Padova, Firenze, e Bari. Tra le prime dieci a crescere di più in un anno sono Napoli (+5%), Padova (+4%), Milano (+3,5%).

Un business da 100 miliardi in Lombardia e 200 miliardi in Italia

Il business delle imprese del settore ammonta a circa 200 miliardi all’anno, di cui 100 miliardi, esattamente la metà, in Lombardia, dove 77 miliardi si concentrano a Milano. Si tratta di un settore che in Italia impiega 836 mila addetti a tempo pieno, di cui un 320 mila in Lombardia, e 230 mila solo a Milano.

A proposito di innovazione, il 9 ottobre si è tenuto il convegno Innovazione responsabile: esperienza nell’industria 4.0. Il convegno è stato organizzato nell’ambito del progetto europeo Interreg ROSIE nella sede della Camera di commercio di Milano. In particolare, nell’ambito dell’incontro si è discusso di come le tecnologie abilitanti di Industria 4.0 possano implementare e rafforzare pratiche di innovazione responsabile

Vincere la dipendenza da smartphone con un’app di Google

Restare per troppo tempo attaccati allo smartphone a rincorrere le notifiche è sbagliato, fa perdere tempo, ma soprattutto rende schiavi dell’aggiornamento a tutti i costi e della comunicazione ininterrotta. Sarebbe molto meglio, invece, ritrovare la “gioia di perdersi qualcosa”, anche a costo di non essere informati istantaneamente su tutto ciò che accade.

Ad affermarlo non è qualche psicologo o sociologo, ma Google, che in un post sul proprio blog descrive i risultati di uno studio sulla dipendenza da cellulare e allega alcune misure consigliate per limitare il problema.

Poche differenze tra culture, Paesi, genere, età o tipo di dispositivo utilizzato

La ricerca, presentata in questi giorni a una conferenza a Barcellona, si basa su dati raccolti attraverso interviste in diversi Paesi di tutto il mondo, dagli Usa alla Svizzera.

“Sorprendentemente abbiamo trovato poche differenze tra le diverse culture, Paesi, genere, età o tipo di dispositivo utilizzato – scrivono gli autori nel blog-. Gli smartphone riempiti di social media, email e app creano un costante senso di obbligo, e uno stress personale”.

A contribuire al problema, secondo lo studio, sono due fattori principali, la natura stessa delle app, progettate proprio per coinvolgere il più possibile l’utente, e un senso di obbligo che impone, ad esempio, di rispondere subito ai messaggi.

App che monitorano l’utilizzo del cellulare

Il risultato finale è appunto la “paura di perdersi qualcosa”, in inglese chiamata Fomo, acronimo per fear of missing out. Che andrebbe invece trasformata in Jomo, “Joy of missing out”.

Per contrastarla Google ha inserito nei sistemi Android la sua Digital Wellbeing Dashboard, una serie di applicazioni che monitorano l’utilizzo avvertendo l’utente quando esagera e permettendo, ad esempio, una disconnessione almeno parziale. “Le persone vogliono poter mettere da parte lo smartphone ogni tanto – conclude il post – senza preoccuparsi di perdere qualcosa di urgente e sentendosi comunque in controllo del dispositivo. Abbiamo la responsabilità di renderlo più facile”.

Ci vuole un po’ di buona volontà anche da parte dell’utente

Certo, ci vuole però un po’ di buona volontà anche da parte dell’utente. Perché la Digital Wellbeing Dashboard prima di tutto è un raccoglitore di dati, una dashboard appunto, che dice quanto è stato usato lo smartphone oggi, quante volte l’abbiamo sbloccato, quanto notifiche abbiamo ricevuto, e quanto abbiamo utilizzato ogni singola applicazione.

App timer, invece, consente di impostare un tempo limite di utilizzo giornaliero per ogni applicazione, riporta androidworld.it. E Wind Down permette di impostare automaticamente, in base all’orario, l’interfaccia del telefono in bianco e nero, quindi poco accattivante, o di attivare la modalità non disturbare.